mercoledì 26 dicembre 2012

da statista a politico si sale o si scende?


Dalla cosiddetta AGENDA MONTI, pag. 20:
"Occorre pertanto portare la famiglia al centro delle politiche di sviluppo, della fiscalità e di welfare. Politiche per la famiglia molto avanzate, come accade negli altri Paesi europei, servono anche a contrastare il calo demografico, che è uno dei fattori di impoverimento delle società. L’Italia deve tornare ad avere fiducia nel futuro e a fare bambini."

Ci aveva avvertiti, citando Degasperi: "Il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni". Ora, dato che l'Italia ha una delle densità demografiche più alte del mondo, e che agli italiani più che la ricchezza della società interessa quella dei suoi cittadini, mi pare che l'ex statista Monti, auspicando un ulteriore aumento della popolazione, più che alle prossime generazioni guardi oltretevere, dove stazionano le divisioni elettorali del Generale Ratzinger. Dimostrando, coerentemente con quanto ci aveva ricordato, di essersi immediatamente immedesimato nel suo nuovo ruolo: quello di politico. Altro che salire, Supermario è sceso a Minimario.

P.S.: Tutti i programmi elettorali e le dichiarazioni d'intenti più lunghi di una pagina sono necessariamente specchietti per le allodole destinati a restare nel regno dei sogni, perciò non prendiamo troppo sul serio ogni comma dell'agenda Monti; dopotutto, per sconfiggerlo basta un umile preservativo.

venerdì 21 dicembre 2012

choosy

Elsa Fornero ha dichiarato che lei non entrerà in politica, preferisce tornare ad insegnare.
E fa bene, perché come ministro, dicendo "I giovani non dovrebbero essere troppo choosy", ha dimostrato di non conoscere bene il suo popolo. Infatti i giovani che non sono choosy sono rimasti giustamente indifferenti, mentre quelli che lo sono (probabilmente una minoranza) si sono incazzati come bufali, e sono pronti a giurare che lei intendeva dire che "TUTTI I GIOVANI SONO CHOOSY", dimostrando così di essere soprattutto TOUCHY.
Imperdonabile errore, per un "politico": vecchi o giovani, i choosy e i touchy vanno solo adulati. Non prenderebbe un voto, signora; invece tornando a fare la prof i voti li darà lei.

lunedì 19 novembre 2012

l'innocenza dei musulmani, Odifreddi e Sofri


1) - FANATISMO MONOTEISTA di Piergiorgio Odifreddi
Corriere della Sera, 12 settembre 2012

Un egiziano cristiano di nome Morris Sadek ha messo in rete lo spezzone di un film, girato da un ebreo israeliano di nome Sam Bacile, intitolato L’innocenza dei musulmani, nel quale si mostra Maometto che ficca la testa fra le gambe di una donna. Naturalmente, i cento donatori ebrei che hanno finanziato con cinque milioni di dollari l’arguta opera, e il pastore cristiano Terry Jones della Florida (noto per accendere falò con il Corano) che l’ha presentata, volevano provocare. Ci sono riusciti, ed è scappato il morto: per ironia della sorte, l’ambasciatore statunitense in Libia, liberata da una guerra iniziata con i bombardamenti di Obama.
E’ l’ennesimo episodio del fanatismo religioso mediorientale, nell’esplosiva miscela ebreo-cristiano-musulmana sintetizzata dai seguaci dei famosi Tre impostori di un omonimo libro di qualche secolo fa: Mosè, Gesù e Maometto. Completamente fantastico il primo, semimitico il secondo e realmente esistito il terzo, ma tutti accomunati, nelle finzioni agiografiche della Bibbia e del Corano, dalla pretesa di conoscere da ignoranti la verità, e di volerla imporre alle rispettive concorrenze, ciascuna contro le altre armata.
Gli ebrei, i cristiani e i musulmani si divertono molto a svillaneggiarsi a vicenda, e altrettanto molto si infuriano quando invece vengono svillaneggiati. E non può che essere così, quando ciascuno crede in quello che definisce “l’unico vero Dio”, e considera conseguentemente falso il Dio degli altri. L’idra a tre teste, poi, non è per nulla confinata alla “dannata Terra Santa” del Medioriente: ha da secoli invaso il mondo intero, compreso quello che si considera “civilizzato”. In particolare, Sadek, Bacile e Jones vivono tutti negli Stati Uniti.
Persino a Parigi, qualche anno fa, sono successi tumulti analoghi a quello di Bengasi, quando uscì il filmL’ultima tentazione di Cristo, che gli faceva fare con le donne le stesse cose che L’innocenza dei musulmani fa fare a Maometto: ovviamente, con gli stessi risultati, divertenti per gli uni e infurianti per gli altri. Bacile dice che “l’Islam è un tumore”, ma questa è solo una mezza verità: anzi, un terzo di verità, perché sono tumori anche l’ebraismo e il cristianesimo.
La verità intera è che il tumore è il monoteismo, e urge una terapia radicale per sbarazzarsene dovunque: in Medioriente, ma anche, e per noi soprattutto, in Occidente.


2) - QUELLA IRRESPONSABILE PARODIA DEL PROFETA di Adriano Sofri
La Repubblica, 13 settembre 2012

CHE un film, anche il più grossolano, o un romanzo, o dei disegni satirici, possano scatenare furia di folle e linciaggio (e pretesti di guerre e guerre di pretesti) è solo un segno della durata strenua, e spesso della recrudescenza, dello stato ferino sopra il quale la civiltà è passata come una vernice trasparente. E la smisurata differenza fra i modi di sentire e di sfruttare l' esperienza religiosa non può essere ignorata. IL COSIDDETTO reverendo Terry Jones, che si compiace periodicamente di farla grossa bruciando Corani in pubblico e si è precipitato ieri sulla nuova occasione, è un fanatico impostore, e ha una quantità di colleghi e concorrenti nella nostra parte di mondo. Ma nei giorni appena scorsi, quando si giocava il destino della bambina pachistana Rimsha, undicenne cristiana con la sindrome di Down, accusata calunniosamente di aver bruciato alcune pagine del Corano e incarcerata, non ci furono assalti alle ambasciate e nemmeno, salvo che mi siano sfuggiti, più misurate manifestazioni di sdegno di fronte a una simile infamia. Le differenze ci sono, e fanno sì che non si possa cavarsela una volta per tutte, in nome della libertà d' espressione da una parte, o del rispetto per i sentimenti altrui dall' altra. La reazione che ha improvvisamente incendiato, in un 11 settembre, il Cairo e Bengasi, e contagerà altri paesi, è opera di farabutti professionali e di folle fanatizzate, e nessun pretesto basta a giustificarle. C' è però un cartello all' ingresso del pianeta di oggi, che avvisa del pericolo d' incendio, e avverte di non giocare con le scintille. Dunque guardiamo il film, anzi il trailer del film, che ha fatto da scintilla questa volta. Ha covato a lungo, del resto, poco guardato in un paio di siti YouTube, pochissimo in un cinema di Hollywood. Poi i piromani l' hanno scoperto. Ad aprire il trailer (quasi 14 minuti sulle due ore del film intero) si ha subito l' impressione di aver sbagliato il filmato, e che qui si tratti di una parodia abborracciata. Invece è proprio lui, costato 5 milioni di dollari e tre mesi di riprese, dice l' autore: soldi e mesi buttati, quanto alla fattura tecnica. Titolo: "L' innocenza dei musulmani", che vuol dire il contrario. Il proposito è di rivelare «la vera vita di Muhammad». Si apre con l' aggressione di un manipolo di islamisti fanatici a una farmacia gestita da cristiani copti, che assassinano una giovane donna e devastano il locale. La polizia egiziana, arrivata in assetto di guerra su una jeep, non interviene: non fino a che avranno completato l' opera, ordina il loro capo. Un vegliardo musulmano ordina a sua volta ai suoi giovani scherani di dare fuoco a tutto ciò che è cristiano. Il farmacista dice ai suoi di casa che la polizia islamica ha arrestato 14 mila cristiani per costringerli a confessare gli omicidi, e formula un' equazione secondo cui l' uomo più un fattore sconosciuto x è uguale al terrorismo islamico; il terrorismo islamico senza quella x è l' uomo. Che cosaè x, sta allo spettatore scoprirlo. Dopo la premessa contemporanea, si passa alla nascita di Maometto. Sono spezzoni di racconto, com' è del trailer, e questo accentua l' effetto grossolanamente caricaturale. Un uomo giovane intima al padre di prendere il bambino con sé e di allevarlo, magari come uno schiavo. E di chiamarlo Muhammad, nome che significherebbe di padre ignoto - bastardo. Scena successiva: le visioni del giovane Muhammad sono curate da una fanciulla. «Lo vedi?» «Sì». «Metti la testa fra le mie cosce. Lo vedi ancora?» «No». Segue una scena di investitura di un asino come primo animale musulmano. Un asino parlante, che risponde alle domande, per esempio se gli piacciano le donne: no, non gli piacciono. Ora viene dichiarato il proposito di Muhammad di fare un libro a metà fra la Torah e il Nuovo testamento, per cui si chiede l' aiuto del cugino, morto il quale Muhammad, disperato, vuole andare a buttarsi giù dalla montagna, o trovare un altro espediente. Poi addestra a catturare donne bambini e animali, e uccidere tutti gli uomini. Dei bambini, usare e abusare. Quanto alla Costituzione, basta e avanza il Corano. Segue una lezione sull' eccezione per cui le donne, anche sposate, devono darsi a lui che è il maestro. Poi l' interpretazione del passo biblico sulla distruzione di Gerico: dunque ora tocca agli ebrei ritirarsi in Palestina o accettare l' estorsione. Chiunque non segua l' Islam del resto ha solo due scelte: pagare o morire. Adesso i suoi, dopo essere andati a procurargli la sposa bambina, si chiedono se non sia anche omosessuale. Un' anziana donna che ne denuncia le malefatte viene legata per le gambe a due cammelli e oscenamente squartata. Un giovane ebreo viene torturato e trucidato davanti a sua moglie, muore pregando che Dio se ne ricordi. Ora sono le sue donne che lo inseguono a colpi di ciabatta nella tenda, perché ha tradito Aisha. Ho riassunto così dettagliatamente il trailer non perché pensassi che i miei eventuali lettori non l' abbiano guardato - l' avranno fatto, per lo più - ma perché a rileggere la sceneggiatura in compendio, sia pure accanto a trivialità troppo spinte, si scopre che gran parte delle notizie su cui è costruita appartengono da sempre alla controversia storica e alla polemica anti-islamica. Offensivo degli altrui sentimenti è il modo di trattarle. Il «rispetto» - il proposito di non dare scandalo - è parente stretto dell' ipocrisia, ma una dose di ipocrisia è indispensabile ai rapporti umani, quelli privati come quelli fra i popoli e gli Stati. Gli autori di questo ridicolo film sembrano essersi proposti come ideale la mancanza di rispetto e la cialtroneria. Decidendo di essere irresponsabili, se ne sono presi la responsabilità. «Non pensavamo...», diranno loro. Nemmeno l' allora ministro in maglietta di questa Repubblica, Roberto Calderoli, pensava che avrebbero assaltato il consolato italiano a Bengasi, e che negli scontri sarebbero morte 14 persone. Succedeva sei anni fa. Qualche giorno fa hanno revocato la scorta di otto persone che senza interruzione, anche in sua assenza, presidiava una sua villa nel bergamasco. La situazione del mondo è infatti tragicomica.


3) – PICCOLA POSTA di Adriano Sofri
Il Foglio, 21 settembre 2012

Quando si scatenò la rabbia contro le vignette satiriche danesi e svedesi in cui figurava il profeta dell'islam, pensai - e lo scrissi qua in una lettera aperta al mio amico Staino - che un gran numero di giornali e giornalisti europei dovesse ripubblicarle, per dichiararsi corresponsabili dei loro autori minacciati e devoti alla libertà di opinione e di stampa. Non ho cambiato parere, benché sia almeno perplesso per l'iniziativa di Charlie Hebdo. Non cedere al ricatto del fanatismo islamista è altra cosa dal provocarlo deliberatamente, quando si deve prevederne largamente le conseguenze su altri. Qui vorrei però accennare ad un altro aspetto. E' evidente la condizione nuova in cui da alcuni anni (non pochi, ormai) si trova nei paesi di democrazia laica chiunque intenda parlare o scrivere o disegnare di argomenti che la suscettibilità islamista e i suoi demagoghi proclamano intoccabili. L'autocensura che ne è derivata è sempre in bilico fra una miglior attenzione ai sentimenti altrui e una pavidità. Bene: se ciascuno ne fa a suo modo esperienza in questa parte di mondo, con qualche imbarazzo, rimozione o vera vergogna, a maggior ragione potrà figurarsi con quale timore per sé e senso di responsabilità per i propri cari affrontino lo stesso problema cittadine e cittadini dei paesi che fanno, di diritto o di fatto, della lettera islamica la propria legge. E concluderne che se qui, quando si tratti di esprimere le proprie idee e non di farne esibizione, sembra occorrere una dose di coraggio personale e civile, là occorre una decisione pressoché eroica. Dunque la più importante e ammirevole e meritevole di sostegno concreto.1) - Fanatismo monoteista di Piergiorgio Odifreddi
Corriere della Sera, 12 settembre 2012

lunedì 5 novembre 2012

il padrone di pannella


Dedicato a tutti coloro che perdono il loro prezioso tempo in polemiche spesso giuste, qualche volta no, con Marco Pannella (e/o con i suoi "seguaci"), con quello che dice e/o fa o non dice e/o non fa.

     Il Partito Radicale è un partito carismatico e quest'affermazione, a 57 anni dalla sua fondazione, non è altro che un giudizio storico: a prescindere dal giudizio di valore che si vuole dare al ruolo del carisma. Ormai non lo sa quasi più nessuno, ma la più rivoluzionaria delle proposte del Partito Radicale, la madre di tutte le riforme, quella più osteggiata, incompresa e sconfitta dalla "cultura" nazionalpopolare e controriformista prima ancora che dalla "politica" partitocratica, non riguardava un diritto civile ma il suo modello di partito aperto, cioè lo strumento con cui fare politica.

    Mi posso definire un pre-sessantottino. Da giovane, dopo quattro anni di militanza nella LID (Lega per l'Istituzione del Divorzio, un'accozzaglia di vecchi anticlericali, giovani anarchici, "fuorilegge del matrimonio" - tra cui ex partigiani ed ex repubblichini - e varia umanità) mi iscrissi al Partito Radicale, vero motore della lega, con la legge Fortuna-Baslini ormai praticamente approvata. Me l'ero promesso nel '66, stufo delle chiacchiere dei partiti laici e di sinistra, da vero pragmatico: voglio aiutare questi quattro gatti, e se mi dimostrano che faremo il miracolo di introdurre il divorzio nel paese del Vaticano avrò trovato la mia casa.
    Solo dopo capii che non era così. Il mio partito non era una casa, ma un trenino a vapore: era scritto nel suo statuto, stilato nel 1967 dai giovani radicali di allora, come proposta di partito federale della sinistra unita. In pratica diceva basta con questi partiti-chiesa settari e litigiosi, il modello deve essere il Partito Democratico americano, una federazione di associazioni di base (culturali, sindacali, sociali, imprenditoriali ecc) e di comuni cittadini anche diversissimi fra loro, ed uniti solo da quelle poche ma grandi proposte di riforma approvate dal congresso a data fissa. Nel PD americano militavano negli anni '70 il Rev. Jesse Jackson simpatizzante del Black Power e il Governatore razzista dell'Alabama George Wallace e nessuno di loro disse mai "se entra lui esco io!" Ogni riferimento ai "democratici" partiti italiani, con i suoi Fioroni, Vendola, Binetti e Buttiglione vari è puramente voluto.
    Un trenino a vapore: esce dal congresso con una destinazione scritta a pennarello indelebile: può essere divorzio, obiezione di coscienza, aborto legalizzato, oppure riforma garantista della giustizia, attuazione degli art. 39 e 49 della Costituzione o quello che gli pare. Tu, liberale, comunista, fascista, cattolico, ateo, anche se sei stato iscritto da dieci anni, leggi quel cartello e solo se sei d'accordo su destinazione e conducenti ti iscrivi; e se vuoi vai a farti le altre tue lotte altrove, da solo o con la compagnia che saprai trovarti o crearti. E pensa un po': nessuno ti caccerà dal partito! Proprio come nessuno fa scendere da un treno un viaggiatore con biglietto pagato solo perché non la pensa come il capotreno, che ha solo il dovere di portarti a destinazione. Oppure quest'anno la proposta non ti convince e non ti imbarchi, almeno per questa fermata, poi si vedrà.
    So già l'obiezione partitocratica: ma questo non è un partito, è un comitato elettorale! Niente affatto, è un partito d'azione, perché fa politica a prescindere dall'esito elettorale. Meditate sulle riflessioni di Simone Weill e Hannah Arendt (anni 30 e 40 del secolo scorso) sul totalitarismo strutturale dei partiti politici non anglosassoni, confrontatele con la storia successiva e vi spiegherete quanto male la controriforma cattolica ha fatto all'Europa dividendola, e in particolare all'Italia privandone la cultura popolare del concetto protestante di tolleranza: la nostra cultura nazional-popolare è ferma al conflitto tra guelfi e ghibellini. Ma passiamo oltre.
    La conseguenza più interessante del partito aperto prefigurato dal PR è che nessuno può impedire a un iscritto di associarsi con chicchessia per condurre una battaglia politica non fatta propria dal congresso del partito; l'iscritto invece è liberissimo di non iscriversi per uno o più anni. E' legittimo restare nel partito per creare le condizioni per la crescita del consenso sulle proprie proposte (e non visioni del mondo, del tutto incompatibili con il partito aperto), ma dedicare le proprie forze a contrastare con la parola e l'azione il lavoro degli organi del partito non ha senso, oltre ad essere moralmente insostenibile.
    E per ottenere cosa? Mi ricordo di un solo esito elettorale in cui una maggioranza di iscritti mise in minoranza la mozione appoggiata da Pannella, al congresso di Genova del 1979. Pannella si iscrisse e fece politica per conto suo, mentre i nuovi dirigenti (tra cui Rippa, Rutelli, Quagliariello, Vecellio, Bernardini...) non si dimostrarono all'altezza della mozione da loro portata al successo congressuale, e il gruppo si sfasciò accusando Pannella di averla sabotata con la sua scelta di fare altro per conto suo come qualsiasi altro iscritto. Ma non si può pretendere di imporre ad un qualsiasi iscritto di appoggiare anche fattivamente una mozione che non lo convince; c'è solo da ringraziarlo per la sua iscrizione nonostante il disaccordo. Per lo spirito dello statuto, in un simile caso all'iscritto si richiede solo di non collaborare e non sabotare.
    Io, dopo essere stato iscritto per tre decenni, per dodici anni ho fatto altro, e ora lo sono di nuovo (al PR, non a radicali italiani) ma non mi sono mai sognato di rompere il cazzo a chi si fa il culo per le cose in cui crede: altrettanto chiedo nei miei confronti, ed è tutto.
    E' assurdo pensare che le cose in cui crediamo abbiano più forza se riusciamo ad imporne la realizzazione a Pannella o ad un inesistente "apparato" di partito: ci conviene rimboccarci le maniche e far vedere di cosa siamo capaci, con chi le condivide. E' dal 1966 che ho la fortuna di avere Pannella AL MIO SERVIZIO: quando mi convince io mi iscrivo, lui tira la carretta o la fa tirare a chi accetta di farlo (l'ho fatto volentieri anch'io, e a lungo), se mi va collaboro, altrimenti faccio altro. Conoscendo i miei limiti non farei meglio di lui neanche se facessi il segretario, semplicemente se proprio non mi convince e la "sua" mozione vince al congresso, io non mi iscrivo e faccio altro. Di che posso accusarlo? Di plagio? Di essere invecchiato male? Di non lasciarsi convincere? Di non saper raccogliere voti? E io si?
Cantava Gaber:
"e allora dai, allora dai, le cose giuste tu le sai,
allora dai, allora dai, dimmi perché tu non le fai?"
DOV'E' IL PROBLEMA? Nel partito aperto tutto si gioca in congresso, perciò è bene arrivarci con un bagaglio di realizzazioni (e non di idee o di buone intenzioni, di cui son piene le fosse) capace di convincere la maggioranza sulle proprie capacità, o su quelle della propria associazione: solo così si rottama la vecchia classe dirigente. Altrimenti continuerò ad assistere allo spettacolo penoso degli Ercolessi, dei Malvino e dei Quinto che buttano la loro vita come il Capitano Achab con quell'ossessione per il Pannella-MobyDick.


http://rottamatoio.blogspot.it/2012/04/politica-5-youth.html
http://rottamatoio.blogspot.it/2012/02/politica-4-il-partito-aperto-e-i-suoi.html

venerdì 14 settembre 2012

fascisti

    A me Pierluigi Bersani sta sul cazzo. Chissà, se avesse fatto altre scelte forse avrebbe potuto diventare uno scrupoloso burocrate, o addirittura un dignitoso imprenditore. Ma ha fatto l'imperdonabile errore di entrare in politica, finendo nel calderone di tutti quegli pseudo-politici che, privi di grandi capacità e carisma, si affidano alla forza surrogatoria collettiva del Partito, che altri chiamano "la casta" e io chiamo "i partitici". Ma perché, buon uomo? Da qui la mia antipatia, mista a un po' di pena.
    Tuttavia, avendo imparato sulla mia pelle di adolescente quanto sia fuorviante lasciarsi condizionare da sentimenti come simpatia e antipatia, cerco di avere verso il segretario PD lo stesso atteggiamento obbiettivo che ho verso chi mi è simpatico. Sulla mia pelle di militante politico ho imparato invece il grande principio liberale che in politica non si etichettano le persone ma si giudicano le loro singole azioni. Perciò ho molto apprezzato la correttezza "liberale" del suddetto Bersani quando l'ho sentito con le mie orecchie, in un servizio sul Tg di Sky, riferire al pubblico che "sui blog si leggono frasi del tipo siete degli zombi, siete già morti, vi seppelliremo, vi ammazzeremo...." e via in crescendo, per poi concludere: "io dico che questi sono linguaggi fascisti.....fascisti!". Seguiva applauso del pubblico. Contemporaneamente, nei titoli delle notizie che scorrevano sotto le immagini, passava di tanto in tanto la scritta "Bersani: Grillo, siete fascisti".
    Stavo assistendo ad un atto fascista: la "cultura" illiberale che pervade ogni ganglio della società italiana non permette a giornalisti ignoranti quanto spocchiosi di capire la differenza tra il definire fascista un'azione, una frase, un linguaggio, e l'estendere quel giudizio a una persona, giudizio tanto arbitrario da degradarsi al livello di insulto. E infatti ormai fascista non è più considerato un giudizio politico ma solo un insulto.
    Perciò sapevo già cosa ci aspettava: per tre giorni i media hanno inondato l'Italia della polemica stucchevole sul fatto mai avvenuto che Bersani aveva dato del fascista a Grillo. Se l'avesse fatto avrebbe fatto un'azione fascista, ma non l'aveva fatto, anche se nessuno l'ha fatto notare al telespettatore medio che crede di informarsi seguendo TG e talk show. Di questi episodi mediatici fascisti, diffusori di messaggi subliminali degni di Goebbels, magari con il pretesto di sintetizzare la notizia, è piena l'informazione.
    Informazione fascista. E tanto di cappello a Bersani.

venerdì 29 giugno 2012

fantascienza e nostalgia


   Avevo vent'anni, un bambino nascosto da anni in una corazza più pesante di una palla al piede, una paura folle di uscirne e una voglia folle di vivere e di conoscere. Lui non sapevo chi fosse: mi capitò in mano un pezzo di carta a stampa, gli occhi avidi selezionarono un paio di righe: "Il viaggio del futuro non sarà fuori del sistema solare ma dentro il sistema uomo" - Clifford Odets. Il suo presidente si chiamava J.F.Kennedy. Scrissi quella frase su un mio diario.
   Certo non fu Odets a tarpare le mie ali per la fantascienza; da tempo la mia breve e dura infanzia me l'aveva etichettata come fantasia da ricchi. Ma impresse spinta e coraggio a quella brama di conoscenza che è stata, a ben vedere, la molla della mia vita.
   Oggi, bambino senza corazza ormai ricco di conoscenza, so perfino che Clifford Odets fu drammaturgo, sceneggiatore e regista, e che il Kubrick di 2001 doveva conoscerlo bene. Anche grazie a lui, in questo atterraggio morbido che è il crepuscolo del mio lungo viaggio ai confini di quest'universo che io sono, comodamente adagiato su quel socratico "so di non sapere" che grazie alla conoscenza non temo più (almeno di molte falsità ne ho certezza), posso permettermi un attimo di quell'altra fantasia da ricchi che chiamano nostalgia: per quel mio diario di ventenne, perduto chissà dove nella mia odissea nello spazio e nel tempo.

mercoledì 27 giugno 2012

lotta di classe

E' ora di confessarlo: sono un moralista. Se fossi un personaggio ad esposizione mediatica, come Elsa Fornero, mi troverei da qui a pochi minuti messo alla gogna on line per questa mia improvvida ammissione, ma per fortuna non mi caga nessuno e posso così sfoggiare un coraggio del tutto virtuale. Con il vantaggio di poter spiegare il senso di tanta impudenza in tempo reale, senza incorrere nella vergogna dei titoli del giorno dopo, tipo "Rottamatoio fa marcia indietro".
   In un paese di controriforma, moralista è sinonimo di Savonarola. In un paese di controriforma, quando non se ne può più di una corruzione insostenibile, l'indignazione secerne antidoti peggiori del male, come ciarlatani fondamentalisti e inquisitori spietati. In un paese dove l'indignazione ha prodotto la riforma religiosa, come il Regno Unito, il termine moralista è stato usato, nel senso corretto del termine, per designare gli studiosi dei costumi (mores) di un popolo, così che un gruppo di pensatori tra cui i filosofi David Hume e Adam Smith furono onorati e classificati come "moralisti scozzesi" e contribuirono all'illuminismo anglosassone, a differenza del Savonarola e dei suoi persecutori che due secoli prima contribuirono all'oscurantismo italico.
   Perciò faccio marcia indietro e chiarisco: sono un moralista nel senso anglosassone. E sono affascinato dallo studio dei costumi dei miei conterranei. Questo mio vizietto mi ha portato ad una miriade di osservazioni che man mano vado sciorinando in questo mio sfogatoio semiprivato. Niente panico: questo post riguarda una sola di tali osservazioni.
   In qualsiasi paese dove la profezia marxista ha avuto radici estese e profonde le conseguenze per la popolazione sono state tragiche: URSS, Europa orientale, ex Jugoslavia, Albania, Cambogia, Vietnam, Birmania, Cina Maoista. In Italia, dove per mezzo secolo il più forte partito comunista dell'Europa occidentale ha egemonizzato la sinistra, la cultura e la presenza sul territorio, le conseguenze sono state invece semplicemente comiche.
   La profezia del buon Carlo Marx, che, grazie alla LOTTA DI CLASSE, aveva previsto "scientificamente" la scomparsa delle classi con l'abolizione della borghesia e dello stato, si è dissolta in un processo che non ha visto, come previsto, la crescita di una coscienza di classe capace di trasformare il sottoproletariato (lumpenproletariat = proletariato straccione) in proletariato riappropriatosi del proprio lavoro, ma piuttosto il proletariato fondersi con la piccola borghesia per trasformarsi in "lumpenaristokratie" (aristocrazia stracciona), priva di qualsiasi coscienza di classe o almeno di comunità, preoccupata solo di conservare i privilegi conquistati a scapito degli esclusi.
   In periodi di crisi economica come l'attuale, tale conservatorismo assume forme d'isteria collettiva contro quella CLASSE DIRIGENTE che, come succede in tutte le democrazie, anche le più imperfette, i nostri aristocratici straccioni si sono scelti per decenni, con i loro politicanti incapaci e/o corrotti, i loro sindacati corporativi, i loro imprenditori ladri o mendicanti, il loro stato sprecone e protezionista. E si indignano, si mobilitano, si rivolgono ai nuovi ciarlatani populisti minacciando linciaggi e cimiteri.
   MI VIENE UN DUBBIO: non sarà che dietro tutta questa indignazione il moralismo controriformista nasconde un po' d'invidia dei fregati per i fregatori?
   CI SONO! LA LOTTA DI CLASSE ESISTE ANCORA: TRA LA CLASSE DIGERENTE E LA CLASSE ROSICANTE(*)!

(*) - Dal coatto romanesco "rosicare", rodersi il fegato per invidia o rabbia.

lunedì 25 giugno 2012

affanc. la democrazia - un mostro chiamato equivoco

25 giugno 2012 - Il più funesto dei cretini si aggira per il mondo, esonda nelle piazze, dilaga nei media, splende nelle analisi dei politologi, s'intrufola in ambiti non suoi, minaccia lo sviluppo del pianeta. Non è un umano, è un mostro.
Il più impopolare di tutti gli antipatici della storia, Winston Churchill, con l'ingenuità insita in ogni estremismo (compresi perciò sia quello conservatore che quello anglosassone) aveva cercato di avvertire il mondo: "La democrazia è solo il peggior sistema di governo, ad esclusione di tutti gli altri". Fu proprio la sua sicurezza di tradizionalista liberale anglosassone a fregarlo. Non poteva neanche immaginare che fuori dell'ambito anglosassone, dove la democrazia moderna era nata, la mancanza dell'aggettivo "liberal" avrebbe generato di lì a poco il mostro, a causa proprio del trionfo della liberaldemocrazia sulle dittature di tutto il mondo.
Questo mostro si chiama Equivoco Democratico. Democrazia significa potere del popolo. Ma popolo è un termine olistico e come tale radicalmente antiliberale, presupponendo che l'Uno (la società) sia superiore alle parti che lo compongono, mentre la rivoluzione culturale liberale consiste proprio nel sostenere che l'individuo è portatore di diritti inalienabili da chicchessia, stato e popolo compresi. Perciò quando si usa il termine popolo si parla di qualcosa di inesistente, un'unità non dimostrabile; per onestà intellettuale bisogna almeno ammettere che si parla di maggioranza del popolo. Quindi si deve ammettere che democrazia significa volontà o potere della maggioranza. E come la mettiamo se la maggioranza del popolo decide che a pagare le tasse siano solo i cittadini con gli occhi chiari? O che agli ebrei , ai musulmani o ai buddisti non vanno riconosciuti gli stessi diritti dei cristiani (o viceversa)?
Approfittando della dimostrata superiorità della liberaldemocrazia anche in termini di forza, il cretino di nome Equivoco Democratico dilaga mostruosamente nel mondo con l'appoggio consapevole o, peggio, inconsapevole dei cronisti ed opinionisti che dai mass media inondano le plebi ignare con pistolotti sul mito salvifico della democrazia, sistema politico perfetto, sempre liberatrice da ogni tirannia. E sempre dimenticando quell'indispensabile aggettivo "liberal" che ne fa solo il peggior sistema di governo esclusi tutti gli altri.
Con conseguenze che vanno dalla partitocrazia italiana (in cui poche oligarchie di partito usano il consenso strappato a cittadini ridotti a plebe per fare carta straccia di princìpi costituzionali e di leggi da loro stessi votate, con l'appoggio di quella magistratura che ora tende a presentarsi come salvatrice della patria) alle democrazie "popolari" con elezioni a partito unico, alle teocrazie "democratiche" che consentono di candidarsi solo ai politici approvati dal clero, e via via con quella fantasia che caratterizza la specie umana.

Sia chiaro: il liberalismo, a sua volta, di per sé non è democratico. Si può immaginare un regime liberale illuminato autocratico, che lascia la massima libertà ai cittadini ma senza diritto di voto. Naturalmente non durerebbe a lungo, vittima dei propri errori. Solo il grande "compromesso storico" tra liberalismo e suffragio popolare, la liberaldemocrazia, ha dimostrato di poter resistere nel tempo.

In altre parole, una democrazia senza garanzie intoccabili a tutela delle libertà individuali e senza divisione dei poteri è nel migliore dei casi solo una breve parentesi prima della dittatura, come dimostrano la democrazia dell'antica Grecia o l'ascesa di Hitler. Dalle democrazie mediorientali non mi aspetto nulla di buono o di meglio delle tirannie precedenti.
E dispiace notare che neanche i liberaldemocratici più solidi si accorgano di essere complici del mostro quando continuano a tessere gli elogi della "vera" democrazia ritenendo superfluo chiarire cos'è che la rende vera, come se stessero parlando agli studenti di una facoltà di scienze politiche. Perfino negli Stati Uniti un analista conservatore, Fareed Zakaria, sentì il bisogno di allertare l'opinione pubblica sul mostro, con il suo "Democrazia senza Libertà - in America e nel resto del mondo".
Nell'edizione italiana (Rizzoli - 2003) il risvolto di copertina sentenzia che il saggio di Zakaria è "destinato a lasciare tracce profonde nel pensiero politico".
Da sbellicarsi dal ridere! Affanculo la democrazia, lunga vita alla liberaldemocrazia, base della società aperta, imperfetta e riformabile!

sabato 23 giugno 2012

democrazia come finzione: il re è nudo?


Dopo 65 anni di repubblica e di "democrazia immatura" la crisi della partitica (non tiriamo in ballo la politica, che è cosa seria e sconosciuta agli italiani) sta prendendo le forme del Re Nudo. Un popolo che per cultura popolare controriformista non ha mai capito la liberaldemocrazia, è stato tenuto a freno per tutto questo tempo da una classe partitica che con i meccanismi tipici del tribalismo e facendo leva su sentimenti di appartenenza e identità sub-nazionali, (guelfi e ghibellini, fascisti e comunisti, nord e sud, ricchi e poveri, colti e analfabeti...), ha usurpato il potere dei cittadini riducendoli a sudditi.
Ora, e solo per una sopraggiunta crisi economica con radici prevalentemente estere, la crisi di questo sistema di governo sembra irreversibile. Ma la direzione non sembra affatto quella verso una democrazia matura, una liberaldemocrazia in linea con la nostra modesta Costituzione del 1947, ma piuttosto l'italiano medio sembra dire: "il Re Partito è morto: basta con la finzione della democrazia, riprendiamoci il potere".
Mi fa pena l'annaspare dei capipartito intenti a rivendicare, ad occhi sempre più bassi, le insostituibili funzioni democratiche dei loro apparati dai teleschermi davanti ai quali milioni di famiglie sghignazzano indignate. Ma mi fanno ancora più pena quei conduttori TV da superficializzazione della notizia che con riflessi pavloviani non riescono a coinvolgere un solo politico (pochi, ma ce ne sono) che possa affermare senza arrossire che "i partiti sono le gambe della democrazia, ma non QUESTI partiti tribali".
Mi fa invece molto piacere che furono due donne, Simone Weil  e Hannah Arendt, già negli anni 30 e 40 del secolo scorso, a capire che solo i partiti in senso anglosassone sono funzionali alla democrazia politica (o liberal-democrazia), mentre i partiti europei continentali, con la loro pretesa di valori indisponibili sono strutturalmente totalitari, come fascismo, nazismo e comunismo dimostrarono a chi volle vedere l'abbagliante verità. Gli italiani non fecero mai i conti con il loro vissuto fascista, si limitarono ad esorcizzarlo; come non lo fecero con la loro ubriacatura comunista-trasversal-statalista, tuttora perdurante sotto le ceneri leghiste e le scintille grilliste.
E qui vengo al punto. Esiste nella natura umana una difficoltà genetica a comprendere quel meccanismo che nelle scienze naturali viene chiamato "emergenza", cioè la nascita di qualcosa che pur essendo composta di elementi preesistenti acquista natura sua propria e funzioni di complessità superiore alla somma delle sue componenti. L'esempio classico è la prima cellula vivente, composta di atomi e molecole minerali o chimiche, non viventi. Un altro è la mente pensante, con funzioni superiori a quelle puramente motorie del sistema nervoso primitivo.
Io penso che tutto quello che noi chiamiamo civiltà, e che ci permette per esempio di spostarci sul territorio senza portarci dietro la clava, sia un'emergenza della mente che attraverso la finzione del diritto, della delega della violenza ad un monopolio pubblico, e a tutte quelle istituzioni che compongono lo stato moderno, ha prodotto una nuova emergenza: quella sofisticata finzione che è la liberaldemocrazia, impropriamente detta  democrazia.
Guardando spassionatamente la realtà mondiale, non credo si possa negare che nelle democrazie più mature esistano condizioni migliori di vita per chi voglia cercare la propria felicità, senza mai dimenticare che tale ricerca resta sempre un compito dell'individuo, non delegabile ad uno Stato salvifico né tantomeno alla democrazia. Ma tutto ciò parte dalla finzione che nessuno ci minacci, o ci uccida, o ci depredi dei frutti del nostro lavoro e di ciò che abbiamo costruito. Solo la partecipazione di una quota sufficiente di popolazione a questa finzione fa sì che la civiltà emerga. Senza tale condizione non basterebbero gendarmi, tribunali e religioni a salvarci dalla barbarie, come ci insegna la Somalia.
Ma anche nei paesi più civili come la Norvegia basta un esaltato alla Breivik per mettere a nudo la fragilità della finzione che è alla base della civiltà costruita in millenni di volontà comuni ma mai generali. Eppure quella finzione, applicata ad ogni aspetto della vita sociale, ci permette una vita sempre più lunga e perfino di considerare la sicurezza anche economica un diritto civile, almeno per molti (non per me). E invece non dobbiamo mai dimenticare che non c'è nulla di più precario della vita, e che la finzione della democrazia è un bene preziosissimo che va difeso contro le usurpazioni dei potenti e il nichilismo degli incazzados. Senza doversi inventare chissà quali "nuovi" metodi di governo; basta applicare e rispettare quelli che hanno già dimostrato di funzionare e, poi, semmai migliorarli a piccoli passi con riforme pragmatiche senza riaddormentarsi per altri 65 anni. Ammesso che il globo ci aspetti.

lunedì 18 giugno 2012

radici

L'orgoglio per le proprie radici,
   e per quelle di tutti,
è inversamente proporzionale
   a quello per i loro frutti

domenica 10 giugno 2012

lavoro e schiavitù - apologia di marx

A me, che marxista non sono mai stato, dispiace che nel 1989 si sia buttato, insieme al muro di Berlino e al marxismo-leninismo, anche quel tanto di valido che ancora dobbiamo a Marx. Mentre noto nei postcomunisti una resistenza nostalgica all'abbandono delle parti caduche dell'opera di Marx (la sua teoria del valore e del plusvalore, pilastri dell'anticapitalismo; il suo storicismo "scientifico"; le profezie avventate della sua filosofia "oracolare": tutte cose smentite dalla storia), non vedo in loro alcun interesse per il contributo che i suoi studi economici hanno dato alla conoscenza tout-court, né per quell'afflato umanistico che lo spinse a porre come fine ultimo del comunismo la liberazione dalla schiavitù e dall'alienazione del lavoro salariato, e che gli valse l'omaggio del più rigoroso filosofo anticomunista del '900, quel Karl R. Popper de "La società aperta e i suoi nemici".
Vorrei che qualcuno mi spiegasse, ad esempio, perché nessun comunista (ne esistono ancora, di sedicenti tali) o postcomunista o filosindacalista di oggi ricordi alle "masse" che il lavoro dipendente è la schiavitù esistenziale a cui il capitale le condanna ma da cui devono liberarsi, come recita la seguente dichiarazione:

     Invece della parola d'ordine conservatrice "Un equo salario per un'equa giornata di lavoro", gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario "Soppressione del sistema di lavoro salariato"
da Karl Marx - Salario, prezzo e profitto
trad. di Palmiro Togliatti - Editori Riuniti 1961

Anche se penso che la complessità raggiunta dalla società globale non consenta oggi di ritenere realistica una simile rivoluzione a quel livello, so per esperienza di vita che ciò è realizzabile a livello individuale: è possibile cioè ottenere, proprio grazie alle potenzialità offerte dall'economia capitalista e dalla conoscenza disponibile, psicologia compresa, la riappropriazione da parte di ogni individuo disposto a pagarne il prezzo, di quella dimensione del lavoro come gioco e autorealizzazione, al pari della conoscenza, dell'amore e dell'arte.
E trovo esilarante che un anticomunista-non-anticapitalista come me abbia sfruttato un lavoro da dipendente di soli sei anni per poi vivere un'intera vita a fare solo ciò che gli piaceva, compresa l'utopia dei due cuori e una capanna, mentre quasi tutti i miei coetanei, genericamente o convintamente anticapitalisti (atteggiamento generalizzato, nella Roma dell'impiego pubblico) hanno passato la loro vita a maledire il lavoro alienante a cui sono stati costretti dall'odiato capitalismo e dalla sua arma letale: il credito.
Io avrei potuto essere il comandante di una superpetroliera a 28 anni; ho preferito fare il precario a vita, il collaudatore d'auto, il volontario dei diritti civili, il velista, il sub, il pupazzaro in TV; e per quasi trent'anni vestirmi, contadino, con i vestiti smessi dei miei amici, cosa che ancora faccio, con orgoglio anticonsumista, da pensionato.
Ma al capitalismo ed al suo strumento principe, cioè il credito in cambio della vita, ho sempre mostrato il mio dito medio rivolto in alto. Buffo, no?   http://rottamatoio.blogspot.it/2012/01/estetica-1-la-piu-grande-poverta.html

mercoledì 9 maggio 2012

poteri forti?


Ritrovo, nello scrigno dove conservo vecchi appunti che mi sono cari, una mia riflessione sui poteri che con spietato gioco delle parti sottraggono agli italiani la base stessa di una democrazia: la conoscenza. La riporto come premessa ad una raccolta di esempi che intendo proporre.

......i troppi decenni trascorsi da quando venni al mondo mi hanno piegato a tal punto da privarmi della capacita’ di stupirmi. Eppure mi succede ancora di imbattermi in articoli di famosi giornalisti che scrivono di "poteri forti" e di scoprire ogni volta con inatteso stupore, dopo averli letti fino in fondo, che per poteri forti intendono sempre e solo la classe imprenditoriale, e nemmeno tutta.
   Chiedendomi il perche’ di tale spreco di plurali mi viene un sospetto: non sara’ la traduzione letterale di un termine anglosassone realmente significante, da quelle parti, ma che in un paese di cultura cattolica e populista è tanto approssimativo da essere ridicolo?
   Quale che sia la spiegazione, il malvezzo costituisce un ottimo esempio di come un potere forte, quello mediatico, disinforma quello che in democrazia dovrebbe essere "il principe", cioè il popolo. 
   Perciò a lor signori Giornalisti, a Sindacati, Partiti (pardon, Parlamento!), Corporazioni, Vaticano, Magistratura, Forze Armate ed altri poteri deboli....… i miei più sinceri ricostituenti.

                                                                           --oOo--

media 1: l'informazione a orologeria
http://capriccioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/06/da-quando-non-governano-piu/

I veri poteri forti, in Italia, sono la consociazione spontanea degli infiniti poteri deboli contro la comunità dei cittadini:
http://www.corriere.it/editoriali/12_giugno_10/de-bortoli-poteri-forti-classe-dirigente_8b7c6c56-b2c2-11e1-8b75-00f6d7ee22cc.shtml

mercoledì 18 aprile 2012

trasparenza

Di fronte alla tardiva indignazione degli smemorati italiani per il vergognoso fiume di denaro succhiato dai partiti per i quali hanno sempre votato, i signori ABC - Alfano, Bersani e Casini - propongono in gran fretta il controllo dei loro bilanci.
In altre parole controllare, magari a spese dello Stato (cioè nostre), che i ladruncoli non rubino ai ladroni.

lunedì 9 aprile 2012

il colore dei cretini

Scriveva Sciascia nel 1979:
    "Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l'evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l'Epifania" - (Leonardo Sciascia, Nero su Nero - Einaudi 1979)

Carlo M. Cipolla ha scritto il suo "Allegro ma non troppo - Le leggi fondamentali della stupidità umana" nel 1988, perciò Sciascia non poteva averlo letto, ma da buon illuminista che continuò a studiare per tutta la vita sono certo che arrivò anche lui a capire che i cretini non hanno colore. Dopo la celebrazione della loro Epifania quelli della sinistra crebbero tanto, durante il Carnevale degli anni '70, da emarginare come vecchiume ogni barlume d'intelligenza.
Oggi possiamo dire che la sinistra, pur avendo ancora da qualche parte un po' di cervello (e molto stomaco), ha il cuore e il fegato che tifano decisamente per esemplari come la signora Francioni.
La signora Francioni, coniuge casalinga di povero bancario privato del "diritto civile della pensione a 61 anni", non conoscendo l'ABC del diritto civile non conosce neanche la differenza tra "libertà di" (che non costa denaro, diritto inalienabile) e "libertà da" (che si conquista lavorando e si paga a prezzi di mercato, perciò variabili), è tanto indignata e che fa? Non avendo mai sentito parlare di Miguel de Unamuno, ma avendo passato tanto tempo a intossicarsi nei blog, si stampa una maglietta con "Fornero al cimitero" (un inno alla morte, tipico dei fascisti) e la porta in piazza, fiera come un pavone, per difendere il suo coniuge condannato ai lavori forzati.
Solo quando si scopre sbattuta su tutti i blog e i Tg si dà della cretina (ma non della violenta) e chiede scusa a Elsa Fornero che ha il garbo di non risponderle, ma soprattutto si dispera per l'indecorosa figura fatta fare al suo caro Diliberto, che dopo aver debitamente ammirato le sue tette aveva dichiarato di non aver letto cosa c'era scritto sopra. A cretina cretino e mezzo.
Gente come questa mi comunicò molti anni fa che io, con una vita da militante nonviolento dei diritti civili, non facevo più parte della sinistra. Ma ancora oggi, con la mia pensione da contadino inferiore a 500€, a questi borghesi ottusi e piagnoni dico che io mi sento ricco e orgoglioso di essere di sinistra.....ma non di questa sinistra, come diceva Gaber. E che provo pena per loro.

Ma torniamo a Sciascia. Visto che questa gente non si è neanche resa conto di aver vissuto in Epifania per mezzo secolo, con i politici-Re Magi che regalavano posti di lavoro gonfiati accumulando debito pubblico a carico delle generazioni future (che oggi dovrebbero prendersela coi loro genitori incoscienti piuttosto che con il medico chiamato al capezzale di questo moribondo paese), non ci resta neanche da sperare in un Venerdì Santo. Il cretino, di qualsiasi colore, risorgerebbe a Pasqua!

sabato 7 aprile 2012

youth, ed oltre

    Quando ero giovane ero abbagliato dal Sol dell'Avvenire.

"Youth" - come sentenziava il poeta:
"We have tomorrow, bright before us like a flame.
Yesterday, a night-gone thing, a sun-down name.
And dawn-today, broad arch above the road we came."
                                                            (Langston Hughes)
("Gioventù"
"Noi abbiamo il domani, luminoso avanti a noi come una fiamma.
Ieri è una cosa andata con la notte, un nome tramontato.
E l'oggi è un'alba, grande arco sulla strada che percorriamo.")

    E siccome ero un tipo avventuroso e quel posto dov'ero non mi piaceva affatto, anzi mi faceva orrore, andai alla stazione centrale, pagai un biglietto e presi un bel treno scintillante per destinazione Sol dell'Avvenire. Imparai così che i treni quasi sempre si perdono, ne incolpai quei binari scassati, quel groviglio di scambi senza manutenzione, la segnaletica illegibile, quei ferrovieri più preoccupati del loro treno che dei loro passeggeri: non arrivai mai al Sol dell'Avvenire e chiesi di scendere."Se non ti piace questo treno prendine un altro, traditore, e vedrai quanto ti pentirai!", mi urlarono, e mi scaricarono senza neanche fermarsi; ma stavano quasi fermi, come al solito.

    Così mi decisi a studiare la geografia e capii che quella stazione non esiste. Una truffa. Da allora ci sono invecchiato per capire perché quasi tutti continuano a preferire grossi treni ben lucidati e pubblicizzati dai nomi altisonanti ma con vaghe destinazioni metafisiche tipo "Legge e Ordine", "Benessere e Felicità", "Solidarietà e Uguaglianza", "Equità e Sicurezza", che come tutti gli assoluti non esistono sull'atlante del mondo reale. Sui dépliants di quei treni, finanziati soprattutto con le tasse di tutti i cittadini, si spiega che il biglietto costa poco; che c'è un regolamento pieno di limitazioni da rispettare; che non tutti possono salire (c'è una commissione che esamina, respinge o espelle i passeggeri non conformi al regolamento, quasi a sottolineare "qui siamo tutti uguali, dentro la testa!"); c'è anche una lunghissima lista di fermate intermedie continuamente scandite dagli altoparlanti ma dove non si arriva quasi mai, anche se qualcuna esiste veramente.
    E' risaputo che mai nessuno di quei treni è arrivato alla sua lontana destinazione, e spesso neanche alla prima fermata, ma sono affollatissimi di tifosi che vogliono illudersi di pensarla tutti allo stesso modo, e che vanno in delirio come allo stadio quando il loro treno blocca o viene bloccato da un altro treno: credo che il loro vero scopo non sia quello di arrivare all'impossibile destinazione, ma di impedire che ci arrivino gli altri treni, ritenuti - quelli si - pericolosissimi.

    Essendo un cultore della massima latina "errare umanum est, perseverare diabolicum", da allora io mi accontento di prendere, di tanto in tanto, uno scomodo ma agile trenino sconosciuto ai più e disprezzato dagli altri, che reca un cartello con la destinazione scritto a pennarello. Nessuno ti chiede chi sei e cosa fai, ma hai un solo obbligo: pagare un biglietto molto più caro degli altri, anche se come treno è piuttosto scomodo. Ci trovi un'umanità alla Bunuel: pensionati e giovani rampanti, nani, pornostar, geni, cretini, barboni, casalinghe, militari, monache, vu' cumpra', eremiti e carrieristi. C'è pure un capotreno vecchio come Matusalemme che si limita a biascicare frasi incomprensibili subito tradotte in azioni da scodinzolanti interpreti abbrutiti dalla fatica: ogni tanto qualcuno di loro salta al volo sui treni belli per fare finalmente un po' di dolce vita.
    Siccome si tratta di un treno nessuno dei miei conoscenti mi chiede cosa sto a fare con "quelli là", se invece fosse un partito politico mi toccherebbe rispondergli che tutti abbiamo in comune la prossima fermata, poi ognuno continuerà la strada che si è prefisso: ma la cosa gli sembrerebbe meno ovvia.
Anche se nessuno te lo impone, puoi anche collaborare con il personale a raggiungere la destinazione, che non è mai troppo lontana: a volte è la prima e unica fermata, a volte prevede un paio di fermate intermedie, tutte ben presenti nell'atlante geografico e nel biglietto che hai pagato. Non ci crederete, ma quasi sempre mi ha portato dove volevo, e mi ha cambiato la vita. Il mio trenino è talmente agile che riesce quasi sempre a schivare i grossi treni che ingombrano i binari e che cercano di sbarrargli il passo. Qualche volta è capitato di trovarci con tutti gli altri treni a bloccarci, e perfino di non poter raggiungere la destinazione; alcuni passeggeri sono scesi, altri saliti, e per continuare abbiamo dovuto pagare un altro biglietto: senza energia la motrice non cammina. Ma è sempre più malridotto e non so quanto resisterà.

   All'inizio non capivo perché il mio trenino avesse così pochi passeggeri, anche se alle stazioni la gente si lamentava di quei grossi carrozzoni lucidi che continuavano a non portarla da nessuna parte, ma poi ho capito: agli uomini piace più sognare un grande sogno, sentirsi in tanti e illudersi di pensarla tutti allo stesso modo, piuttosto che vivere da diversi e raggiungere un sogno reale. E infatti il sogno se lo scelgono tanto grande da essere irraggiungibile.
   E, per uscire dalla metafora, vedi link:  http://rottamatoio.blogspot.it/2012/02/politica-4-il-partito-aperto-e-i-suoi.html

ismi: idee e ideologie


     "Un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva; anzi soltanto quella morta ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte. E sono tanti, e talmente brulicano sulle cose morte da dare a volte l’impressione della vita. (Questo pensiero mi viene come corollario a tutti i pensieri sulla stupidità e sugli stupidi che vado ritrovando nel “Diario” di Brancati)" - Leonardo Sciascia - NERO SU NERO pag. 68 - Einaudi 1979

Questa riflessione di Sciascia mi ha ispirato una teoria: nell'evoluzione del genere umano mi sembra di scorgere un decorso obbligato per qualsiasi teoria, scoperta o movimento di cui si nutre quello che chiamiamo progresso. Mi proverò a descriverlo:
1) - Un tale, che un giorno sarà definito genio, ha una grande, nuova e valida idea o invenzione (chiamiamola "la cosa") e cerca di comunicarla al mondo, ma quasi nessuno lo sta a sentire, tranne un pugno d'intenditori che in solitudine cominciano ad applicare la novità tra l'indifferenza generale.
2) - Dopo molti anni il successo de "la cosa" si impone per forza propria e attira l'attenzione del folto partito dei furbi, scienziati, intellettuali o imprenditori che siano, i quali spintonano da  parte i vecchi pionieri e, al grido di "largo ai giovani e capaci", s'impadroniscono di quell'idea viva, la privano di quel tanto di scandaloso che ogni vera novità contiene e finalmente la dichiarano perfetta, eterna e indiscutibile, elevandone il fondatore (il "tale") al rango di genio infallibile; riducono cioè "la cosa" ad un "ismo", un'ideologia, con tanto di dogmi, certezze, chierici e guardiani. Così ridotta, ormai in coma, viene lanciata sul mercato con ampia disponibilità di mezzi.
3) - A questo punto masse sterminate di stupidi scoprono quella novità moribonda. Naturalmente se ne innamorano come di una moda e vi si avventano famelici e fanatici creando l'effetto brulicante descritto da Sciascia che fa sembrare vivi, oltre all'idea morta, anche loro. I furbi si gonfiano di troppi soldi per sapere che farne e i più ne scoppiano. I sani sono altrove.

Tra gli infiniti esempi che la storia mi offre potrei citare il povero Gesù di Nazareth elevato a Cristo per fondare il cristianesimo, la morale ridotta a moralismo, la ragione a razionalismo, la nazione a nazionalismo, la scienza a scientismo, la democrazia a democraticismo. L'evoluzione in "ismi" di ogni grande intuizione è la prova che l'umanità è sempre propensa a preferire la riposante certezza delle ideologie alla faticosa ricerca della verità.

furbi et orbi


Una volta trovai in un blog il seguente aforisma attribuito al giornalista Antonio Socci:
                             "Il razionalismo sta alla ragione
                               come la polmonite sta al polmone"
Per la prima volta io, agnostico, mi trovai d'accordo con Socci, cattolico integralista. Tuttavia saltava agli occhi, per chi orbo non è, la furbizia insita nella peculiarità dell'aforisma: per cui proposi di generalizzare il concetto come segue:
                             "Ogni ismo sta alla sua radice
                               come l'appendicite sta all'appendice"
(sia pur con qualche eccezione: qualche movimento artistico o culturale fu coniugato in ismo fin dalla nascita) che mi permetteva di sottoporre a Socci una riflessione sul suo cristianesimo (esimo è sinonimo di ismo), come a dire "ci sei o ci fai?".
Se poi dagli ismi passiamo alle organizzazioni che li incarnano mi viene in mente la sigla che appare sulle targhe delle limousine cardinalizie (SCV= Stato della Città del Vaticano) e la traduzione che ne danno i romani: "Se Cristo Vedesse..." per cui mi viene spontaneo:
                              "Cristo sta alla chiesa cattolica
                                come il colon sta alla colica"
in cui, lo giuro, l'uso di termini ingiustamente considerati poco nobili è necessitato solo dalla rima.

sabato 3 marzo 2012

commozione

3 marzo 2012
"Dobbiamo cambiare nome al partito: PDL è un acronimo che non commuove" (Silvio Berlusconi dopo un fiasco elettorale)
Che ne dite di "PI - Povera Italia"?

27 maggio 2012

   Gli italiani, quando credono di occuparsi di politica, si commuovono (e molto) per due soli argomenti, nell'ordine: il denaro e il sesso. Se non è presente, in una notizia politica, almeno uno dei due elementi, essa diventa per loro una non-notizia; nessuno si commuove o si indigna; nei media viene perciò catalogata come evento "non notiziabile", che significa solo che non fa audience; solo il blog di qualche illuminista molto retrò (di quelli che pensano ancora che il pettegolezzo è un'usanza provinciale del passato) ne fa timido cenno per cui non ci sarà nessuna manifestazione di indignados in nessuna piazza.
   Può accadere così che un Cavaliere, assurto alla massima carica esecutiva dello stato con la sobria promessa di una rivoluzione liberale, pur calando le braghe dopo solo pochi mesi su consiglio del suo ministro del lavoro Mastella (riforma delle pensioni: quella che oggi paghiamo con interessi da strozzinaggio), e dando così prova di essere uno la cui parola non vale niente, riesca tuttavia a restare il partitico più amato dagli italiani per altri 17 anni. Fino a quando non fece vera notizia notiziabile facendo bungabunga. Un ciarlatano si perdona, un erotomane che si fa scoprire no: Ruby più potente della mancanza alla parola data.
   Può accadere anche che un Governatore, eletto nella più importante regione italiana su una lista dichiarata falsa in un regolare processo, riesca a governare indisturbato per vari anni nell'indifferenza dei partiti e, peggio, degli elettori, di maggioranza e di opposizione; e naturalmente dei mass media. Fino a quando si scopre che un imprenditore gli regalava l'uso di yacht, alberghi, ville, ristoranti e jet privato. A questo punto giornali e TV dell'opposizione possono scatenarsi senza essere presi per marziani, e gli italiani possono dignitosamente indignarsi.
   Io mi limito ad osservare, da cultore della psicologia di massa, come esperienze di secoli non siano riuscite a modificare il senso comune secondo cui i reati (o perfino i peccati) pecuniari o sessuali sono più gravi della disonestà intellettuale, infinitamente più diffusa e pericolosa. E premonitrice.
   La chiesa cattolica, che diversamente da quelle protestanti considera la menzogna un peccato veniale (così almeno mi insegnarono al catechismo in parrocchia, dove si costruisce il cattolicesimo reale), ha qualcosa da rimproverarsi o è troppo impegnata in questioni di banchieri e maggiordomi?

mercoledì 22 febbraio 2012

aforismi, proverbi, luoghi comuni e loro antidoti


Il fine giustifica i mezzi.
Antidoto: a questo pilastro del machiavellismo, che sembra vincente, il suo stesso fine gli è alla fine negato: il successo” (Wilhelm Ropke) perché sono i mezzi che determinano il fine.

Ride bene chi ride ultimo.
Il saggio impara dalla storia, lo stupido dalla cronaca.

E’ peggio di un crimine, è un errore (Fouché o Talleyrand)
E' una balla. Molto meglio l’ “errare umanum est, perseverare diabolicum” dei latini. Per dirla con Karl Popper, per l’uomo è impossibile non sbagliare mai, il che fa dell’errore il suo sommo precettore. Propongo perciò: E’ peggio di un crimine, è la ripetizione di un errore .

Errore ed errante.
L’errore è il nostro più grande maestro, la sua reiterazione il nostro peggiore nemico, l’errante un poveretto che va aiutato ad imparare.

Mogli e buoi dei paesi tuoi
Gli antitradizionalisti sono il peggior flagello dell’umanità, se si escludono i tradizionalisti.

Rasoio di Occam: “non spiegare con dieci parole ciò che si può spiegare con cinque” (versione divulgativa)
Rasoio di Hanlon"Non attribuire a consapevole malvagità ciò che può essere adeguatamente spiegato come stupidità".

Legge del taglione, ovvero "A brigante, brigante e mezzo".
Risultato, piccoli briganti crescono.

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.
Ne consegue che Cristo era un magnaccia e Maddalena la figlia di Dio. Antidoto: L’abito non fa il monaco, ovvero la fatica di conoscere prima di giudicare.

"C'è una fondamentale differenza tra la religione, che è basata sull'autorità, e la scienza, che è basata su osservazione e ragionamento. E la scienza vincerà perché funziona" - Stephen Hawking

"Ho l'abitudine di dire quello che penso e di fare quello che dico. Piuttosto originale, in politica; ve l'assicuro" - Emma Bonino

lunedì 20 febbraio 2012

il partito aperto e i suoi nemici

Un tram chiamato partito
    Vi siete mai chiesti perché nessuno si fiderebbe di un tram con destinazione sol dell'avvenire, benessere e felicità, o uguaglianza e sicurezza ( e che invece di partire resta al capolinea inondando l'aria di altisonanti proclami mentre il conducente e qualche suo amico mangiano e bevono), e invece di un partito si?
    Elementare: perché gli italiani alla politica chiedono favori o sogni, come consolazione alla squallida realtà in cui sono costretti a vivere dai propri comportamenti politici.

    IL PARTITO CHIUSO è il partito tradizionale: è strutturato sul modello clericale della Chiesa Cattolica: senso comune e tradizione controriformista non rendono credibili altri modelli.
    Ha uno statuto selettivo che sembra quello di una comunità dei santi: ha la pretesa della perfezione. Per essere ammessi si richiede di avere una comune visione del mondo (religione o ideologia), bisogna accettare la sua dottrina e obbedire alle direttive dei sacerdoti-dirigenti, custodi dell'ortodossia e grandi elettori del pontefice-segretario. Ha sempre un tribunale dei Probiviri che espelle chi osa insudiciare con il suo comportamento l’immacolata immagine del Sacro Partito, ma che di solito interviene troppo presto su questioni ideologiche, troppo tardi su reati contro la legge e mai per promesse non mantenute.
    Ha anche un programma di cose da fare e di promesse da mantenere, che serve a riscaldare i cuori di iscritti ed elettori, ma che dopo ogni campagna elettorale nessuno ricorda più e resta lettera morta, proprio come le encicliche papali; ma, come insegna il catechismo, la menzogna è un peccato veniale.
    Essendo basato sull'utopia totalitaria di una comune visione del mondo, sogno impossibilitato dalla logica e dalla storia,  è un partito ideologico, e perciò disunito al di là delle apparenze: infatti non può sfuggire all'alternativa tra il "centralismo (anti)democratico" con conseguenti scissioni, e la divisione in costosissime correnti l'una contro l'altra armate.

    E' un partito-chiesa, un partito chiuso. Nella prassi le sue dimensioni vanno ben al di là del numero di iscritti, comprendendo anche, e soprattutto, gli elettori non iscritti - definiti infatti "il nostro elettorato"- i quali normalmente del partito conoscono solo le quotidiane "prese di posizione" elargite dai media (il "teatrino della politica, puri fonemi senza alcun legame con l'azione"), quanto basta per farli sentire tanti, importanti e di ugual sentire. O a scatenare le loro ire e critiche, non al Sacro Partito ma ai suoi chierici o dirigenti, proprio come i credenti-non-praticanti di Santa Madre Chiesa. Esemplare l'invettiva nota come "l'anatema di Nanni Moretti" lanciato nel suo "Aprile": "D'Alema, dì una cosa di sinistra!". Un fonema (l'anatema) con cui si supplica di DIRE (ancora fonemi), non di FARE !!
    Gli elettori sembrano non aspettarsi nessuna realizzazione del programma, che d'altronde non conoscono, ma ritengono essenziale che il partito blocchi l'attuazione del programma degli altri partiti, i quali quasi sempre non hanno nessuna voglia o possibilità di realizzare quelle promesse elettorali, veri libri dei sogni. Hanno però due situazioni di sincera esultanza, nei quali somigliano meno a una chiesa, ma un gradino sotto: quando il partito aumenta i voti alle elezioni e quando, mettendosi di traverso, riesce ad impedire un successo del partito avversario; qui somigliano più ai tifosi durante un derby.
    Il fenomeno potrebbe far vacillare una mente sana, ma come tutto ciò che è reale ha una spiegazione che va ricercata nella psicosociologia.
     
    Partito d'apparato, strutturalmente criminogeno, in cui l'iscrizione costa poco o nulla, in omaggio al principio populista che altrimenti la politica sarebbe monopolio dei ricchi (vedi il post "società civile 2 - il destino in appalto", con le statistiche sulle spese per giochi e lotterie dei "poveri"). Ciò rende possibile, direi obbligato,  il ricorso a falsi tesseramenti nella guerra tra le correnti, con aumento vertiginoso dei "costi della partitica".
    Nessuno si spiega, e quel che è peggio nemmeno si chiede, perché tutti i partiti catto-leninisti finiscono fatalmente per delinquere. Si addossa la responsabilità ai vertici, dimenticandosi che salirono al vertice proprio a sostituire altri vertici con gli stessi difetti; ma si sa, la memoria non ha cittadinanza in strutture funzionali solo a "vincere" alle prossime elezioni. Invece la causa sta nell'alto costo che la convivenza forzata - in una struttura con pretese di tuttologia totalizzante - richiede a causa delle inevitabili divisioni interne, il che fa diventare questione di vita o di morte per il partito una forte presenza parlamentare, con altre due conseguenze: costi insostenibili delle campagne elettorali e perdita d'interesse per ogni attività politica extra-parlamentare. Le radici della partitocrazia. 
                                                                 -oOo-

     A questo modello si rifanno tutti i partiti piccoli e grossi degli ultimi sessant'anni, con l'unica eccezione del partito radicale, (1955-1989) che nel 1967 si dette uno statuto di tipo federativo e lo presentò come strumento pragmatico di "unità laica della sinistra" in alternativa alle due strategie perdenti di allora, note come "unità della sinistra laica" e "unità della sinistra popolare", entrambe ideologiche e inconciliabili. Quella proposta, più in chiave bipartitica che antidemocristiana, fu rifiutata sia dai cosiddetti laici che dai socialcomunisti, tutti tesi alla conservazione o alla ricerca di un rapporto privilegiato con la DC.
    Quello statuto di partito aperto, concepito per il grande (e grosso) "Partito Democratico" della sinistra italiana, rimase fino al 1989 la struttura che servì al piccolo PR per diventare un "grande" partito, gli permise cioè di FARE grande politica per oltre vent'anni, sia stando fuori che dentro il Parlamento, e di consegnare all'Italia tutta una serie di riforme civili (spesso imponendole a maggioranze ed opposizioni parlamentari più  che riluttanti) che nessun "grosso" partito può vantare. 
    Nel 1989 il PR si trasformò in "transpartito transnazionale", adeguando lo statuto (anche con qualche carattere ideologico) ed affidando ad associazioni "ad hoc" le varie politiche nazionali; attualmente in Italia opera il movimento "radicali italiani", con uno statuto molto semplificato ma che conserva lo spirito dell'antico impianto. 

     IL PARTITO APERTO è dissacrato e imperfetto, perché nelle faccende umane la perfezione è un concetto sacralizzante, mummificante, antievolutivo. Il partito radicale è ancora un partito aperto.
    Nel partito aperto si può iscrivere chiunque paghi la quota associativa: il termine "radicale" non significa altro. Non è richiesta alcuna professione di fede, dal momento che ognuno mantiene integra la sua libertà del cui uso risponde individualmente alle leggi dello stato; il partito non è una comunità dei santi e perciò non risponde del comportamento dei suoi iscritti, fatta eccezione dei suoi organi politici esecutivi, cioè Segretario e Tesoriere. Ne consegue che non ci sono limiti di età, di nazionalità, di tessera partitica, di fede religiosa o ideologica, non esiste espulsione né probiviri, né esami d'integrità morale o di situazione giudiziaria. Perfino la ragione sociale di tale partito, cioè la mozione annuale dell'ultimo congresso, è vincolante soltanto per gli organi esecutivi e solo se approvata con la maggioranza dei due terzi; la partecipazione attiva degli altri iscritti è necessaria e sollecitata ma non obbligatoria, potendosi limitare alla quota associativa.
    La quota associativa approvata dal congresso annuale viene considerata molto alta dal comune cittadino. Attualmente è di 55 cent. al giorno (200€ l'anno), secondo il principio ottocentesco della Fabian Society per cui "Non esiste professione di fede senza il versamento di uno scellino)"; in sostanza, la quota fa sì che gli iscritti credano nella politica quasi quanto nel caffè che ogni mattina prendono al bar.
    Al partito possono aderire anche associazioni e movimenti non radicali con modalità dettate dallo statuto allo scopo di raggiungere gli obiettivi della mozione congressuale. Nella prospettiva bi- o tripartitica che gli è propria, il partito aperto è proprio una federazione di associazioni della società civile che si riconoscono negli obiettivi fissati dall'ultimo congresso.

    IL CONGRESSO è annuale, il che significa che il partito che lo convoca ha esaurito la sua ragion d'essere, sia che abbia realizzato gli obiettivi del mandato ricevuto sia che non ci sia riuscito. Il congresso dà vita ad un nuovo partito, sia che decida di procedere lungo la direttrice  del partito "scaduto" sia che cambi rotta, secondo le deliberazioni degli iscritti e delle associazioni. Al nuovo partito ed alle sue deliberazioni con relativi organi e statuto si aprono le nuove adesioni.
Ne consegue logicamente che più gli obiettivi della mozione saranno concreti e limitati ma incisivi, più saranno gli iscritti maturi e partecipanti e meno saranno gli "idealisti" e gli inevitabili "tifosi". E così è sempre stato.

    GLI ELETTI obbediscono alla Carta Costituzionale, che recita "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Perciò essi non rispondono né al proprio partito né ai propri elettori ma all'intero popolo italiano. Come gli altri privati cittadini possono iscriversi e partecipare all'attività del partito oppure no, ma decadono da ogni carica esecutiva all'interno di esso.


    IL BILANCIO è analitico, annuale e pubblico. IL FINANZIAMENTO è affidato alle quote degli iscritti e delle associazioni aderenti, e ai contributi di persone fisiche e giuridiche abilitate. Esso è finalizzato alle spese gestionali ed alle attività politiche per l'attuazione della mozione congressuale.
Per poter funzionare, un modello di autofinanziamento così concepito ha bisogno di due condizioni: una legge elettorale che tenda al bipartitismo (non al bipolarismo di coalizioni) e scoraggi la proliferazione delle sigle, e spazio garantito sui media solo per le attività politiche ed elettorali, senza le quali le dichiarazioni dei politici che intasano i tg sono puri fonemi, aria fritta. 

    EFFETTI CONCRETI E CONSEGUENZE :
1) Disambiguazioni: 
     A) Il sostantivo "Radicale" va inteso esclusivamente come persona iscritta al Partito Radicale transnazionale per l'anno corrente.
     B) Essendo il PR, dal 1967, l'unico partito pragmatico senza base ideologica, non è assimilabile a ideologie o movimenti associati al termine "radicalismo".
     C) Essendo un partito a termine, sono esistiti un numero di partiti radicali uguale al numero di congressi effettuati, ciascuno denominato PR, ma seguito dall'anno di riferimento. La sigla PR indica solo l'insieme di essi. Il conformismo partitocratico ha sempre ironizzato sull'alto numero di congressi radicali, dimostrando o fingendo solo ignoranza della logica di un partito aperto. 

2) Il partito aperto è un partito-strumento-usa-e-getta, come un tram che prendi per andare alla prossima fermata e lì scendi. E se vuoi andare alla fermata successiva ci risali ( ma è cambiata la vettura, perciò paghi un nuovo biglietto) per continuare la corsa, senza pretendere un esame di ammissione per i passeggeri, del tutto ininfluente sul percorso del mezzo.
Si basa su tre pilastri: l'iscrizione libera, il bilancio annuale pubblico, il congresso a data fissa . Gli iscritti (ma anche qualsiasi cittadino) hanno così l'occasione, a scadenza fissa e annuale, di controllare l'attuazione degli impegni assunti dal Segretario e dal Tesoriere (entrambe le cariche sono politiche, non amministrative) e la veridicità del bilancio, e trarne materia per le loro deliberazioni non solo congressuali, ma di ogni tipo, anche giudiziarie.

3) Il partito aperto non può né rifiutare iscrizioni né espellere iscritti, che restano tali fino alla scadenza annuale. Ne consegue che un "radicale" non possiede alcuna patente di moralità, intelligenza o altre caratteristiche positive o negative per il solo fatto di aver versato una quota d'iscrizione ed avere con ciò accettato le norme dello statuto. Da qui lo scandalo che provoca nella cultura nazionalpopolare di matrice clericale "scoprire" tra gli iscritti il mafioso ergastolano e la pornodiva, l'ambizioso, il truffatore, l'iscritto ad un altro partito, il premio Nobel e il ladro notorio; non si capisce che la contraddizione non è del partito aperto, ma dei singoli iscritti.
Infatti il partito è solo statuto, quota d'iscrizione e mozione congressualeQuesto mix crea un'eccezionale sinergia democratica e non consente l'affermarsi del concetto di appartenenza con i conseguenti comportamenti omertosi tipici del partito-chiesa; ha invece la conseguenza positiva che chiunque venga a conoscenza di un reato commesso da un altro radicale può e deve denunciarlo all'autorità giudiziaria, libero dal timore di danneggiare il partito.
L'onestà non è una virtù connaturata alla natura umana, essa va incentivata e non ostacolata dalla struttura organizzativa. Non è un caso se il PR è l'unico partito che ha denunciato alla magistratura un proprio ex tesoriere.

4)  Partito laico, perché non ha opinioni né interessi materiali da difendere, né affida all'autorità dei chierici il suo inesistente "pensiero" o ideologia. Partito evolutivo:, perché qualsiasi congresso ne cambia la rotta, dipanando quel filo rosso costituito dalla sua storia e dalla sua prassi senza diventare identità, "radicalismo": piuttosto applicazione della teoria popperiana della conoscenza per errori e correzione degli errori. Partito dissacrato, perché sacra è solo la libertà di ogni suo iscritto, che unico ne risponde davanti alle leggi dello stato. Partito pragmatico, senza utopie da realizzare e mete ideali oltre l'orizzonte: quelle, se ne è capace, è bene che se le porti l'iscritto nella sua testa o nel suo cuore. Partito d'azione, per dare corpo al possibile contro il probabile e l'impossibile: tutta la sua azione è tesa a poche e concrete riforme compatibili con la sua breve esistenza annuale. Partito di propostasecondo il principio della nonviolenza gandhiana (satyagraha), che rifiuta la protesta in quanto sterile di effetti o tesa a bloccare azioni altrui senza indicare alternative: ancora oggi, dopo cinquant'anni, la professionalità dei giornalisti e degli opinionisti non consente loro di cogliere l'antinomia tra nonviolenza e protesta, nonviolenza e pacifismo.

5) E' un servizio pubblico svolto da un'associazione privata, perciò si basa sull'autofinanziamento degli iscritti e sostenitori, ma non esclude gratuità di strutture o contributi pubblici per le spese sostenute in attività pubbliche effettivamente svolte, se documentate e certificate nella massima trasparenza. Nessuno degli iscritti al partito aperto (o degli eletti col suo appoggio) può offendere gli elettori che scelgono di onorarlo dei loro voti considerandoli "il nostro elettorato": il partito è al servizio degli elettori, non viceversa.

6) Conclusione: quanto scritto finora può trarre in inganno se non si tiene a mente il punto principale: il partito aperto è consapevolmente imperfetto. Vi troverete geni e cretini, verità ed errori, vittorie e sconfitte, ambiziosi e seguaci, secchioni e fannulloni; per resistervi dovete crescere umanamente e psicologicamente, essere o diventare forti, perché non avrete un partito-mamma a darvi protezione quando vi sentirete soli. Alla lunga non è un partito per vecchi di spirito. E', parafrasando Churchill, solo il meno peggio dei partiti possibili.
                                                                       -oOo-

I SUOI NEMICI non sono solo i partiti chiusi, ma anche l'ignoranza politica e la debolezza psicologica della stragrande maggioranza dei cittadini. Ma per questi ci vorrà un altro post.

lunedì 6 febbraio 2012

società civile: il destino in appalto


29/12/2011 - LA STAMPA
Il destino dato in appalto
di Irene Tinagli

    Non c’è giorno in cui non siamo bombardati da qualche dato negativo su consumi, produzione, povertà ed occupazione.
    È l’immagine, si dice, di un Paese che si impoverisce sotto la scure della crisi e di manovre recessive. In questo scenario è difficile spiegare il dato del 2011 sulla raccolta del settore dei giochi (gratta e vinci, lotterie, lotto, slot machine, scommesse sportive e così via) appena reso noto: 76,5 miliardi di euro. Un aumento rispetto al 2010 di 15 miliardi di euro, ovvero il 24,3% in più. Questo significa che nell’anno della crisi più nera, della disoccupazione giovanile al 30%, dello spread alle stelle e dei tagli indiscriminati, gli italiani hanno speso in giochi e scommesse oltre 1200 euro non a famiglia, ma a testa - includendo nel calcolo persino i neonati! Con un aumento di spesa di circa 250 euro a persona rispetto all’anno precedente. Un dato veramente sorprendente.
    Che l’industria del gioco e delle scommesse sia relativamente più resistente alle crisi rispetto ad altri settori è cosa nota. Così com’è noto che la diffusione dei giochi online e la progressiva liberalizzazione avvenuta in numerosi Paesi (prima tra tutti l’Italia, che negli ultimi anni ha rilasciato migliaia e migliaia di nuove licenze) hanno dato impulso a questo settore a livello globale.
    Tuttavia risultati di queste dimensioni in un Paese come l’Italia, che proprio nel 2011 si è vista quasi sull’orlo del baratro, destano più di un interrogativo. Persino in Gran Bretagna, patria delle scommesse, gli anni della crisi hanno visto un sensibile calo di queste spese (-12,2% nel 2009 e situazione pressoché stazionaria nel 2010).
    Come mai gli italiani spendono in giochi e scommesse non il doppio, e nemmeno il triplo ma otto volte di più di quanto spendono in istruzione? Come mai di fronte alla crisi hanno diminuito i consumi di moltissimi beni, inclusi quelli alimentari, e hanno persino rinunciato ad iscrivere i propri figli all’Università, ma non al gratta e vinci o al lotto? E come mai rivendicano un sistema fiscale e sociale più redistributivo, che tolga ai pochi per dare ai più, e poi si affidano a meccanismi di redistribuzione opposti, in cui i più mettono soldi che verranno elargiti a pochissimi a prescindere dalle loro necessità?
    Non è facile rispondere a queste domande, anche perché dietro al fenomeno collettivo vi sono scelte individuali difficilmente penetrabili e, naturalmente, assolutamente libere e insindacabili.
    L’impressione che ne emerge tuttavia è quella di milioni di persone che si sentono sempre meno padrone del proprio destino, che non sanno o non vedono come poter migliorare la propria posizione, costruire il proprio futuro. E in questo vuoto si affidano, semplicemente, al caso. L’unico fattore che non chieda né impegno né sacrifici ma anche una delle poche cose che non faccia favori a nessuno. Uno dei pochi meccanismi che appare trasparente nella sua totale casualità. Una logica che non dà né per necessità né per merito, ma solo per fatalità.
    Ecco, il pensiero che milioni di italiani ripongano maggiore fiducia nella fortuna come mezzo per risollevare le proprie sorti piuttosto che nelle loro capacità o in quelle dei loro governanti dovrebbe farci riflettere. E farci capire che il grande lavoro di ricostruzione che ci attende nel 2012 non riguarda soltanto le casse dello Stato.