venerdì 1 novembre 2013

ascesa e crollo della rivoluzione keynesiana

   La storia di ogni grande impresa umana, comprese le idee, può essere rappresentata su un grafico con una fase di decollo lento seguito da una crescita esponenziale fino a un picco seguito presto o tardi da un crollo simmetrico al decollo ( http://rottamatoio.blogspot.it/2012/04/ismi-idee-e-ideologie.html ) .
   Allo strumento base del capitalismo, il credito, occorsero secoli di cattivo uso (simonia) e di pessima fama prima di essere riconosciuto come un possibile ottimo strumento di acceleratore della crescita della ricchezza delle nazioni, ma poi trionfò al punto che in meno di due secoli se ne fece un tale abuso da provocare un crollo nell'economia reale e nella sua credibilità.
   Sostiene Karl Popper che lo sviluppo di ogni scienza procede con la scoperta di un errore nella teoria applicata in precedenza e con una teoria successiva che lo corregga mantenendo però tutta la parte valida della teoria che va a sostituire, e così via, senza fine. E infatti a partire dai primi anni del secolo scorso John M. Keynes cominciò a sottoporre a critica serrata i principi, conosciuti come laisser-faire, che dogmatizzando il pensiero di Adam Smith avevano governato l'economia per oltre un secolo. Rimase pressoché inascoltato fino al crollo del 1929, ma ci volle ancora quasi un ventennio e le distruzioni di una guerra mondiale (cioè la catastrofe, unica maestra da cui gli stupidi si lasciano convincere) perché le sue idee sulla finanza e il suo uso pubblico trovassero applicazione su vasta scala. E fu il trionfo, con una nuova potente accelerazione nella creazione di ricchezza.
   Oggi, dopo decenni di inascoltati allarmi sui limiti allo sviluppo globale (boom demografico, risorse ambientali, abusi finanziari, accelerazione esponenziale dei debiti sovrani ecc.) gli scricchiolii sono diventati schianti, ma gli ideologi (tutti inconsapevolmente keynesiani, ma divisi tra fondamentalisti e minimalisti) si baloccano tra le opposte accuse di iperliberismo selvaggio e di statalismo anticapitalistico. Senza neanche accorgersi del paradosso che entrambi i fronti concordano nel puntare ogni speranza sulla ripresa di consumi e indebitamento ipercapitalista da parte degli USA come unica speranza di riavvio della ripresa globale.
   La contraddizione che è stata creata dagli stupidi che da decenni si sono imbarcati come sacerdoti sul trionfo della rivoluzione keynesiana è reale e apparentemente senza via d'uscita, ma solo perché Homo Demens è tanto allergico al buonsenso quanto innamorato del senso comune. Un mondo senza limiti è il sogno metafisico presente nel nostro DNA (come, ne sono certo, in quello di un gatto o di una lucertola), ma la presunta "emergenza" (nel senso di emersione) dell'intelligenza in Homo Sapiens dovrebbe aver messo in grado almeno coloro che si candidano a classe dirigente di capire che tutto ha un limite, compresi demografia, natura, debito pubblico e privato e benessere materiale. E se per motivi carrieristici lo pensano ma non hanno il coraggio di dirlo scendano da quel gradino e facciano come Cincinnato. Ma che stupido che sono: l'hanno già fatto, e sono stati sostituiti dai soliti idioti!