domenica 5 ottobre 2014

onore delle armi

  Ugo Sposetti è, secondo me, il più puro, sincero e leale rappresentante di quei "duri a morire" (come il giovane liberale John M. Keynes definiva i vecchi liberali del suo tempo) che non concepiscono altra forma-partito che quella clerico-leninista, o partito-chiesa, a cui io addebito la forma partitocratica assunta dal postfascismo (vedi  Etica e Politica - Partitocrazia: http://rottamatoio.blogspot.it/2011/12/pillolone-1-democrazia-senza-etica.html  ): "...Quando nel 1948 - complice lo scoppio della guerra fredda - iniziò la prima legislatura, fu subito chiaro che non sarebbe stato così: partiti a struttura clientelare e partiti a struttura leninista, finalmente liberi da pastoie liberaliste, assunsero definitivamente la forma di partito-chiesa, con le sue parrocchie, le sue sezioni, le sue cooptazioni di fideisti, i suoi giuramenti di fedeltà e conseguenti tribunali dell’inquisizione (detti probiviri), in cui vige l’esame di ammissione perché la responsabilità non è individuale ma l’indegnità di ogni iscritto infanga tutta la comunità di santi, ogni distinguo è un indizio di eresia, ogni dissenso un tradimento. A partire dai parlamentari, vincolati alla disciplina di partito, of course. Il finanziamento pubblico sancì l’avvenuta statalizzazione della politica."

   Debbo tuttavia ammettere che la coerenza e l'orgoglio con cui Sposetti vive la sua fede partitocratica (di cui il mai sufficiente finanziamento pubblico non è stato certo la conseguenza più catastrofica) lo rende degno dell'onore delle armi nel momento del suo auspicato ma non sicuro tracollo. Godetevi questa bella intervista; *le note in corsivo celeste sono mie.

http://it.wikipedia.org/wiki/Ugo_Sposetti 


Alessandro De Angelis - huffingtonpost.it 03/10/2014 
Flop tessere Pd, intervista a Ugo Sposetti: "Che sofferenza questi dati. Il partito è stato umiliato"

D - Renzi dice: “C’è a chi piace un partito con 400mila iscritti ma al 25 per cento”.
R -   (voce ironica) Il segretario dice che si va avanti così. Facciamo come dice Renzi.

D - Ma scusi Sposetti, io non capisco queste polemiche sul flop delle tessere. In fondo, sono anni che si parla di partito all’americana e partito liquido. E Renzi l’ha fatto.
 R -  Non diciamo sciocchezze. Il partito all’americana non è così. Se vogliamo fare un discorso serio, iniziamo col dire che il partito democratico americano non è liquido, anzi è organizzato eccome *(ma non è a modello clerico-leninista europeo).
Che cosa ha fatto Obama? Ha preso il palazzone a Chicago, quello che chiamano “la Bestia”, e ci ha messo 2000 persone. Duemila, ha capito? Quelle persone sanno tutto del partito, dell’organizzazione, dei dati alle elezioni in ogni contrada.

D - Va bene, non sarà all’americana ma il Pd dai dati pare molto liquido.
R -   I dati sono la conseguenza di una serie di errori commessi sulla vita democratica. Domando io: come si organizza la vita democratica? Mi si dice che non siamo più agli anni Cinquanta, e che i partiti come li stabilisce l’articolo 49 della Costituzione non ci possono essere più. Dico, benissimo. Se lo argomenti bene, ma poi di devi spiegare come lo scrivi. La verità è che le difficoltà dei partiti e dei sindacati stanno nel non aver dato attuazione nell’articolo 49 e 39 della Costituzione. *(ma quello liquido non è l’unica alternativa al partito clerico-leninista).

D - E invece è successo l’opposto.
R -   Ecco. Le faccio un esempio simbolico. Siamo a gennaio 2008, il segretario dice: “Non ci saranno più le feste dell’Unità ma quelle democratiche”. È il momento in cui “basta comunisti” e “serve una rottura". Le feste si chiamano in cento modi diversi: dell’Unità, Democratiche dell’Unità, Democratiche, ma chi andava a quell’appuntamento estivo, uscendo da casa diceva: vado alla festa dell’Unità. Dico questo perché la storia non la cancelli, come non cancelli il sentimento di un popolo. Ora Renzi dice: rifacciamo le feste dell’Unità. E può utilizzare il marchio perché c’è stato un cretino, il sottoscritto, che ha continuato a pagare la registrazione di festaunita.it e il logo. *(domanda retorica: con “il sottoscritto” intende con i suoi soldi o con quelli dei DS, cioè del finanziamento pubblico, cioè di tutti noi?)

D - Sposetti, traduco il messaggio. Lei dice: esiste un popolo, una storia. E i dirigenti hanno giocato e giocano con leggerezza con questa storia. Però scusi, il popolo non si tessera più.
R -   Ma lei pensa che si governa il partito con gli hashtag, i tweet e quelle cose che non io ricevo e quindi non leggo? Che cosa è un partito: che chi non ha twitter sta fuori? Quindi io sto fuori?

D - Parliamo del flop delle tessere.
R -   Parliamone. Le regole non l’ho mai capite. Dal 2008 statuto e regolamento finanziario stabiliscono che la tessera la vai a prendere nel tuo circolo dando 20 euro. Non capisco. Con 20 euro non puoi costruire dentro di te, nel tuo animo, nel tuo sentire, l’appartenenza a una comunità (1*) che lotta. Se sei disoccupato, un precario, capisco. Ma se viene lei, che fa il giornalista, io con 20 euro, la tessera, non gliela do.

D - Ci vuole motivazione.
R -   La tessera è una cosa importante, è un simbolo in cui si riconosce una comunità (1*), è come la bandiera per uno Stato. Tu partito devi dargli un valore. Sennò chi glielo dà un valore? E non voglio parlare della storia dei due euro alle primarie per il segretario nazionale, il segretario regionale, il segretario provinciale… *(ma le primarie sono una cosa seria solo in un sistema elettorale a collegi uninominali).

D - È solo una questione di regole o è una questione politica?
R -   Le due cose si intrecciano. L’appartenenza è stata umiliata. In questi anni abbiamo compiuto degli atti. Si è detto: vieni qui, dammi venti euro e io do la tessera. Si è detto che la vita democratica coincide con le primarie. Io invece voglio ascoltare l’artigiano, il professionista, il precario, questa è la vita di partito *(e come? con le sezioni di quartiere??). E per ricostruire una vita democratica la prima condizione è il clima.

D - Si riferisce alle bastonate di Renzi verso la minoranza interna?
R -   Lasciamo stare i bastoni. Ma non sono accettabili i toni verso chi ha un dissenso manifestato nelle sedi deputate a discutere. Ma come si fa a far scrivere dai giornali, e senza smentita alcuna, frasi come “io li asfalto, io li frego” riferite a chi non è d’accordo? Chi dissente non può essere trattato così. Noi dobbiamo ricostruire innanzitutto un clima. Io ho la 45esima tessera in tasca e sono un uomo di partito. E dico: abbassate i toni.

D - Partito significa disciplina. Voi sul jobs act al Senato vi adeguerete alle decisioni della direzione, come chiede Renzi?
R -   La direzione, facendo sfracelli contro una minoranza, ha deciso che il governo presenterà un emendamento per correggere il governo. Giusto? Mi spiego meglio: il documento della direzione dice che il governo correggerà se stesso presentando un emendamento. E adesso al Senato stiamo aspettando.

D - Lo votate o no?
R -   Che cosa? Io aspetto. Forse non mi sono spiegato. Che cosa devo votare che non c’è ancora niente. Quello che arriverà? La vita parlamentare è fatta di testi scritti.

D - Torniamo al concetto di partito.
R -   Spinti dalla piazza, in questi anni è iniziato un percorso che non porta a risultati *(e il 40,8% del 25 maggio?). Ora, io ho messo in cassa integrazione i dipendenti dei ds che hanno scavato il pozzo perché il Pd prendesse acqua da quel pozzo. Ci vuole rispetto. L’attuale gruppo dirigente deve iniziare a rispettare quelli che hanno scavato il pozzo. E ricordare che i 1800 circoli del Pd si riuniscono in sedi che i malvagi comunisti hanno costruito negli anni ’50 e ‘60 *(le tre sezioni PCI che ricordo nella mia infanzia romana – Testaccio, Ostiense e San Saba – erano ospitate gratis nelle case dell’ICP – Istituto Case Popolari) e che malvagi dirigenti dei ds hanno messo a disposizione del Pd. Non mi si parli di generosità.

D - Diciamoci la verità: il Pd di Renzi ha già cambiato pelle. E siamo già oltre.
R -   Questo lo dice lei. Quando vedo questi dati, questi toni, io soffro. Oggi sono stato ad Ancona, domani vado a Venosa a una casa del Popolo intitolata a un giovane bracciante ucciso dalle forze dell’ordine a 22 anni perché faceva lo sciopero a rovescio. Ovvero lavorava senza prendere un salario. Dico: quel bracciante ci ha dato un messaggio o no? (come se il partito di cui Sposetti sente nostalgia avesse mai esortato la sua “comunità” (1*) a seguire quell’esempio).

D - Allora, proviamo a trarre una conclusione dal ragionamento. Di fronte a un partito come lo descrive lei, uno che è di sinistra può sentirsi spinto a fare un altro partito.
R -   Se non stavi al telefono ti mettevo le mani al collo. Voi ne parlate. Scindetevi voi! A me non si deve neanche porre la domanda. La scissione non si farà.

D - Questa è una notizia. Con Renzi dunque siete ancora compatibili.
R -   Non devo avere la compatibilità con nessuno, perché una comunità (1*) è fatta di tante cose diverse, sennò non sarebbe una comunità. Io pretendo una discussione decorosa. E continuo a girare l’Italia a parlare dei valori della sinistra italiana. Punto.

(1*) - Faccio notare come Sposetti dia sempre al termine “comunità” un senso di parte e mai di intera comunità nazionale. Chissà se si accorge di avere ancora dentro quella cultura medievale di guelfi e ghibellini che impedisce all’Italia di essere una nazione e a noi di essere un popolo? Vuole proprio "essere come tutti", per dirla con Francesco Piccolo?Punto.

giovedì 2 ottobre 2014

quattro cani e un gatto



Tra i mille pregiudizi diffusi nel senso comune, quello dell'odio tra cani e gatti ha sempre fatto a pugni con molte mie esperienze del contrario. Ma ci voleva un grande scrittore siciliano come Leonardo Sciascia per raccontare una sua esperienza vissuta di campagna con il tono e la leggerezza di una favola. Eccola:

"Sono come cani e gatti, si dice. Ma da un mio vicino, qui in campagna, ci sono quattro cani e un gatto che non la fanno da cani e gatti; e non solo pacificamente convivono, ma fanno di tutto, i cani, per non guastare al gatto l’illusione, che drammaticamente coltiva, di essere un cane. Ma è tutta una storia: e mi piacerebbe saperla scrivere come Cecov scrive quella della cagnolina Kastanka.
Comunque, i dati sono questi: rimasto orfano e sopravvissuto ai fratelli, il gatto è stato allattato dalla cagna, alla quale era stato lasciato uno solo dei figli; crebbe ruzzando col suo fratello di latte, e trattato come lui dalla cagna che lo aveva allattato e dagli altri due cani. Nessuno gli contestò mai il posto a tavola, cioè intorno al vaso di coccio in cui viene loro servito il rancio, né l’osso da spolpare. Mai un ringhio, verso di lui; tanto più tolleranti anzi con lui, i cani, che tra loro. Il cane di Trilussa dice: «co’ tutto che sapevo ch’era un gatto cercavo de trattallo da  cane».
Questi cani hanno invece trattato il gatto molto meglio di un cane, subendone l’infaticabile vivacità e i capricci. Ma il punto è questo: che hanno sempre saputo che è un gatto. Il gatto, invece, non sa di essere gatto. Si crede un cane. E a volte un cane menomato; a volte un cane virtuoso, di un virtuosismo agli altri cani inaccessibile. Ma che faccia il cane reprimendo i miagolii e andando dietro al padrone, mostrandosi come i cani festoso quando il padrone viene fuori col fucile, o che si abbandoni a un exploit da gatto arrampicandosi ad un albero fino alla cima, il suo è un dramma. E c’è da credere ne abbia toccato il fondo quest’anno, il giorno dell’apertura di caccia.
E andato anche lui dietro al padrone, alla partenza facendo di tutto per essere allegro come i cani, saltellando, correndo. Ma poi si è stancato, si è annoiato, si è messo in disparte. E finì con lo sperdersi. Non tornò a casa, la sera. I cani, che non erano più riusciti a badargli, presi com’erano stati dal piacere della caccia, al ritorno ne avranno notata l’assenza e forse se ne saranno fatti un rimorso. E’ possibile siano andati a cercarlo.

Fatto sta che l’indomani sera il gatto era tra loro: i cani in festa intorno a lui, e specialmente il suo fratello di latte. Ma il gatto mostrava una controvoglia, ai giuochi cui l’invitava il fratello, una indifferenza, una malinconia. Forse aveva capito di non essere un cane, e che gli altri pietosamente lo ingannavano trattandolo da cane. E continua a vivere come prima, ma con una certa stracchezza e noncuranza, come improvvisamente invecchiato. «Se non sono un cane, in nome di Dio, che cosa sono?», sembra domandarsi, standosene in disparte, adagiato su una sedia: da gatto."

Leonardo Sciascia - Nero su Nero (Einaudi Ed. - 1979)