29/12/2011
- LA STAMPA
Il
destino dato in appalto
di
Irene Tinagli
Non c’è giorno in cui non siamo bombardati
da qualche dato negativo su consumi, produzione, povertà ed occupazione.
È l’immagine, si dice, di un Paese che si
impoverisce sotto la scure della crisi e di manovre recessive. In questo
scenario è difficile spiegare il dato del 2011 sulla raccolta del settore dei
giochi (gratta e vinci, lotterie, lotto, slot machine, scommesse sportive e
così via) appena reso noto: 76,5 miliardi di euro. Un aumento rispetto al 2010
di 15 miliardi di euro, ovvero il 24,3% in più. Questo significa che nell’anno
della crisi più nera, della disoccupazione giovanile al 30%, dello spread alle
stelle e dei tagli indiscriminati, gli italiani hanno speso in giochi e
scommesse oltre 1200 euro non a famiglia, ma a testa - includendo nel calcolo
persino i neonati! Con un aumento di spesa di circa 250 euro a persona rispetto
all’anno precedente. Un dato veramente sorprendente.
Che l’industria del gioco e delle scommesse
sia relativamente più resistente alle crisi rispetto ad altri settori è cosa
nota. Così com’è noto che la diffusione dei giochi online e la progressiva
liberalizzazione avvenuta in numerosi Paesi (prima tra tutti l’Italia, che
negli ultimi anni ha rilasciato migliaia e migliaia di nuove licenze) hanno
dato impulso a questo settore a livello globale.
Tuttavia risultati di queste dimensioni in
un Paese come l’Italia, che proprio nel 2011 si è vista quasi sull’orlo del
baratro, destano più di un interrogativo. Persino in Gran Bretagna, patria
delle scommesse, gli anni della crisi hanno visto un sensibile calo di queste
spese (-12,2% nel 2009 e situazione pressoché stazionaria nel 2010).
Come mai gli italiani spendono in giochi e
scommesse non il doppio, e nemmeno il triplo ma otto volte di più di quanto
spendono in istruzione? Come mai di fronte alla crisi hanno diminuito i consumi
di moltissimi beni, inclusi quelli alimentari, e hanno persino rinunciato ad
iscrivere i propri figli all’Università, ma non al gratta e vinci o al lotto? E
come mai rivendicano un sistema fiscale e sociale più redistributivo, che tolga
ai pochi per dare ai più, e poi si affidano a meccanismi di redistribuzione
opposti, in cui i più mettono soldi che verranno elargiti a pochissimi a
prescindere dalle loro necessità?
Non è facile rispondere a queste domande,
anche perché dietro al fenomeno collettivo vi sono scelte individuali
difficilmente penetrabili e, naturalmente, assolutamente libere e
insindacabili.
L’impressione
che ne emerge tuttavia è quella di milioni di persone che si sentono sempre
meno padrone del proprio destino, che non sanno o non vedono come poter
migliorare la propria posizione, costruire il proprio futuro. E in questo vuoto
si affidano, semplicemente, al caso. L’unico fattore che non chieda né impegno
né sacrifici ma anche una delle poche cose che non faccia favori a nessuno. Uno
dei pochi meccanismi che appare trasparente nella sua totale casualità. Una
logica che non dà né per necessità né per merito, ma solo per fatalità.
Ecco,
il pensiero che milioni di italiani ripongano maggiore fiducia nella fortuna
come mezzo per risollevare le proprie sorti piuttosto che nelle loro capacità o
in quelle dei loro governanti dovrebbe farci riflettere. E farci capire che il
grande lavoro di ricostruzione che ci attende nel 2012 non riguarda soltanto le
casse dello Stato.
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