sabato 23 giugno 2012

democrazia come finzione: il re è nudo?


Dopo 65 anni di repubblica e di "democrazia immatura" la crisi della partitica (non tiriamo in ballo la politica, che è cosa seria e sconosciuta agli italiani) sta prendendo le forme del Re Nudo. Un popolo che per cultura popolare controriformista non ha mai capito la liberaldemocrazia, è stato tenuto a freno per tutto questo tempo da una classe partitica che con i meccanismi tipici del tribalismo e facendo leva su sentimenti di appartenenza e identità sub-nazionali, (guelfi e ghibellini, fascisti e comunisti, nord e sud, ricchi e poveri, colti e analfabeti...), ha usurpato il potere dei cittadini riducendoli a sudditi.
Ora, e solo per una sopraggiunta crisi economica con radici prevalentemente estere, la crisi di questo sistema di governo sembra irreversibile. Ma la direzione non sembra affatto quella verso una democrazia matura, una liberaldemocrazia in linea con la nostra modesta Costituzione del 1947, ma piuttosto l'italiano medio sembra dire: "il Re Partito è morto: basta con la finzione della democrazia, riprendiamoci il potere".
Mi fa pena l'annaspare dei capipartito intenti a rivendicare, ad occhi sempre più bassi, le insostituibili funzioni democratiche dei loro apparati dai teleschermi davanti ai quali milioni di famiglie sghignazzano indignate. Ma mi fanno ancora più pena quei conduttori TV da superficializzazione della notizia che con riflessi pavloviani non riescono a coinvolgere un solo politico (pochi, ma ce ne sono) che possa affermare senza arrossire che "i partiti sono le gambe della democrazia, ma non QUESTI partiti tribali".
Mi fa invece molto piacere che furono due donne, Simone Weil  e Hannah Arendt, già negli anni 30 e 40 del secolo scorso, a capire che solo i partiti in senso anglosassone sono funzionali alla democrazia politica (o liberal-democrazia), mentre i partiti europei continentali, con la loro pretesa di valori indisponibili sono strutturalmente totalitari, come fascismo, nazismo e comunismo dimostrarono a chi volle vedere l'abbagliante verità. Gli italiani non fecero mai i conti con il loro vissuto fascista, si limitarono ad esorcizzarlo; come non lo fecero con la loro ubriacatura comunista-trasversal-statalista, tuttora perdurante sotto le ceneri leghiste e le scintille grilliste.
E qui vengo al punto. Esiste nella natura umana una difficoltà genetica a comprendere quel meccanismo che nelle scienze naturali viene chiamato "emergenza", cioè la nascita di qualcosa che pur essendo composta di elementi preesistenti acquista natura sua propria e funzioni di complessità superiore alla somma delle sue componenti. L'esempio classico è la prima cellula vivente, composta di atomi e molecole minerali o chimiche, non viventi. Un altro è la mente pensante, con funzioni superiori a quelle puramente motorie del sistema nervoso primitivo.
Io penso che tutto quello che noi chiamiamo civiltà, e che ci permette per esempio di spostarci sul territorio senza portarci dietro la clava, sia un'emergenza della mente che attraverso la finzione del diritto, della delega della violenza ad un monopolio pubblico, e a tutte quelle istituzioni che compongono lo stato moderno, ha prodotto una nuova emergenza: quella sofisticata finzione che è la liberaldemocrazia, impropriamente detta  democrazia.
Guardando spassionatamente la realtà mondiale, non credo si possa negare che nelle democrazie più mature esistano condizioni migliori di vita per chi voglia cercare la propria felicità, senza mai dimenticare che tale ricerca resta sempre un compito dell'individuo, non delegabile ad uno Stato salvifico né tantomeno alla democrazia. Ma tutto ciò parte dalla finzione che nessuno ci minacci, o ci uccida, o ci depredi dei frutti del nostro lavoro e di ciò che abbiamo costruito. Solo la partecipazione di una quota sufficiente di popolazione a questa finzione fa sì che la civiltà emerga. Senza tale condizione non basterebbero gendarmi, tribunali e religioni a salvarci dalla barbarie, come ci insegna la Somalia.
Ma anche nei paesi più civili come la Norvegia basta un esaltato alla Breivik per mettere a nudo la fragilità della finzione che è alla base della civiltà costruita in millenni di volontà comuni ma mai generali. Eppure quella finzione, applicata ad ogni aspetto della vita sociale, ci permette una vita sempre più lunga e perfino di considerare la sicurezza anche economica un diritto civile, almeno per molti (non per me). E invece non dobbiamo mai dimenticare che non c'è nulla di più precario della vita, e che la finzione della democrazia è un bene preziosissimo che va difeso contro le usurpazioni dei potenti e il nichilismo degli incazzados. Senza doversi inventare chissà quali "nuovi" metodi di governo; basta applicare e rispettare quelli che hanno già dimostrato di funzionare e, poi, semmai migliorarli a piccoli passi con riforme pragmatiche senza riaddormentarsi per altri 65 anni. Ammesso che il globo ci aspetti.

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