domenica 20 luglio 2014

piccolo è bello?


E’ da quando raggiunsi la maggiore età che evito per quanto possibile di abitare in città, dove pure sono nato e cresciuto. Amo la natura in modo sensuale, tanto che nonostante una vita piuttosto zingara ho abitato quasi sempre in situazioni quasi estreme di mare o di campagna.

Tuttavia a differenza, credo, dei tanti che hanno preferenze simili alle mie, io amo anche la città, purché grande; amo buttarmici dentro con voluttà ogni qualvolta vengo assalito da irresistibili pulsioni comunitaristiche come trovare in un’unica caotica strada le cartucce per la stampante, i miei Levi’s 501 nuovi a sostituire quelli di vent’anni fa, quell’introvabile punta di trapano per vetro e ceramica, le batterie per l’auricolare Amplifon, le scarpe…..no, le scarpe da uomo taglia 39 no, ormai le portano solo i cinesi, le trovo solo da Decathlon, fuori città (molto). Il tutto senza che uno che non ti ricordi chi è ti riconosca e ti blocchi per mezz’ora in quella strada puzzolente per sapere come hai passato l’ultima settimana.
Per un tuffo tra i vecchi amici invece a volte mi tocca attraversare tutta la città, e perfino questo trovo quasi emozionante, naturalmente non oltre un paio di volte l’anno. E poi via di corsa, rinunciando senza alcun rimpianto a cinema, concerto, movida e quant’altro, verso il mio eremo da cui monitorare mondo e umanità senza il fragore del superfluo.

Quello che invece non riesco proprio ad amare è il piccolo centro abitato, quello in cui tutti si conoscono senza conoscersi, costretti come sono a indossare maschere come artifici a difesa della propria intimità assediata. Potresti pensare “peggio per loro, io che c’entro?”, ma è un’ingenuità razionalista. Potresti mostrarti per quello che sei, nella tua integrità, in pratica un diverso, un marziano da apartheid; ma non potresti evitare, passando per la via o rispondendo al saluto cortese del vicino o del conoscente, di vedere o ascoltare immagini e pensieri che ti fanno accapponare la pelle, quasi che abbiano il potere di azzerare tutte le fatiche (e ce ne vogliono) da te fatte per continuare ad amare l’umanità.

Eccone un esempio. Questa è la bella piastrella di ceramica che fa bella mostra di sé all’entrata di un’abitazione niente male in un centro niente male di settemila anime:


A prescindere dal suo aspetto estetico, da quando ho riflettuto su tale asserzione, anche senza leggere io non riesco più a passare davanti a quella casa senza rabbrividire. E’ come se sentissi minacciati decenni di duro lavoro interiore fatto per liberare il mio essere dalla sudditanza agli “altri”, alle loro opinioni, alla loro invasività.

Ma soprattutto mi angoscia pensare a quale livello d’infelicità può portare il “conoscersi tutti”- trasformato in “controllo sociale” nel piccolo mondo chiuso - per ridurre una persona a fare della (presunta, di solito) invidia altrui una motivazione tanto importante nella propria vita da richiedere o addirittura da suscitare una forza uguale e contraria, in un avvitamento di cattivi sentimenti capace di smentire ogni utopia sulla solidarietà nel “piccolo è bello”.

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