domenica 10 giugno 2012

lavoro e schiavitù - apologia di marx

A me, che marxista non sono mai stato, dispiace che nel 1989 si sia buttato, insieme al muro di Berlino e al marxismo-leninismo, anche quel tanto di valido che ancora dobbiamo a Marx. Mentre noto nei postcomunisti una resistenza nostalgica all'abbandono delle parti caduche dell'opera di Marx (la sua teoria del valore e del plusvalore, pilastri dell'anticapitalismo; il suo storicismo "scientifico"; le profezie avventate della sua filosofia "oracolare": tutte cose smentite dalla storia), non vedo in loro alcun interesse per il contributo che i suoi studi economici hanno dato alla conoscenza tout-court, né per quell'afflato umanistico che lo spinse a porre come fine ultimo del comunismo la liberazione dalla schiavitù e dall'alienazione del lavoro salariato, e che gli valse l'omaggio del più rigoroso filosofo anticomunista del '900, quel Karl R. Popper de "La società aperta e i suoi nemici".
Vorrei che qualcuno mi spiegasse, ad esempio, perché nessun comunista (ne esistono ancora, di sedicenti tali) o postcomunista o filosindacalista di oggi ricordi alle "masse" che il lavoro dipendente è la schiavitù esistenziale a cui il capitale le condanna ma da cui devono liberarsi, come recita la seguente dichiarazione:

     Invece della parola d'ordine conservatrice "Un equo salario per un'equa giornata di lavoro", gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario "Soppressione del sistema di lavoro salariato"
da Karl Marx - Salario, prezzo e profitto
trad. di Palmiro Togliatti - Editori Riuniti 1961

Anche se penso che la complessità raggiunta dalla società globale non consenta oggi di ritenere realistica una simile rivoluzione a quel livello, so per esperienza di vita che ciò è realizzabile a livello individuale: è possibile cioè ottenere, proprio grazie alle potenzialità offerte dall'economia capitalista e dalla conoscenza disponibile, psicologia compresa, la riappropriazione da parte di ogni individuo disposto a pagarne il prezzo, di quella dimensione del lavoro come gioco e autorealizzazione, al pari della conoscenza, dell'amore e dell'arte.
E trovo esilarante che un anticomunista-non-anticapitalista come me abbia sfruttato un lavoro da dipendente di soli sei anni per poi vivere un'intera vita a fare solo ciò che gli piaceva, compresa l'utopia dei due cuori e una capanna, mentre quasi tutti i miei coetanei, genericamente o convintamente anticapitalisti (atteggiamento generalizzato, nella Roma dell'impiego pubblico) hanno passato la loro vita a maledire il lavoro alienante a cui sono stati costretti dall'odiato capitalismo e dalla sua arma letale: il credito.
Io avrei potuto essere il comandante di una superpetroliera a 28 anni; ho preferito fare il precario a vita, il collaudatore d'auto, il volontario dei diritti civili, il velista, il sub, il pupazzaro in TV; e per quasi trent'anni vestirmi, contadino, con i vestiti smessi dei miei amici, cosa che ancora faccio, con orgoglio anticonsumista, da pensionato.
Ma al capitalismo ed al suo strumento principe, cioè il credito in cambio della vita, ho sempre mostrato il mio dito medio rivolto in alto. Buffo, no?   http://rottamatoio.blogspot.it/2012/01/estetica-1-la-piu-grande-poverta.html

mercoledì 9 maggio 2012

poteri forti?


Ritrovo, nello scrigno dove conservo vecchi appunti che mi sono cari, una mia riflessione sui poteri che con spietato gioco delle parti sottraggono agli italiani la base stessa di una democrazia: la conoscenza. La riporto come premessa ad una raccolta di esempi che intendo proporre.

......i troppi decenni trascorsi da quando venni al mondo mi hanno piegato a tal punto da privarmi della capacita’ di stupirmi. Eppure mi succede ancora di imbattermi in articoli di famosi giornalisti che scrivono di "poteri forti" e di scoprire ogni volta con inatteso stupore, dopo averli letti fino in fondo, che per poteri forti intendono sempre e solo la classe imprenditoriale, e nemmeno tutta.
   Chiedendomi il perche’ di tale spreco di plurali mi viene un sospetto: non sara’ la traduzione letterale di un termine anglosassone realmente significante, da quelle parti, ma che in un paese di cultura cattolica e populista è tanto approssimativo da essere ridicolo?
   Quale che sia la spiegazione, il malvezzo costituisce un ottimo esempio di come un potere forte, quello mediatico, disinforma quello che in democrazia dovrebbe essere "il principe", cioè il popolo. 
   Perciò a lor signori Giornalisti, a Sindacati, Partiti (pardon, Parlamento!), Corporazioni, Vaticano, Magistratura, Forze Armate ed altri poteri deboli....… i miei più sinceri ricostituenti.

                                                                           --oOo--

media 1: l'informazione a orologeria
http://capriccioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/05/06/da-quando-non-governano-piu/

I veri poteri forti, in Italia, sono la consociazione spontanea degli infiniti poteri deboli contro la comunità dei cittadini:
http://www.corriere.it/editoriali/12_giugno_10/de-bortoli-poteri-forti-classe-dirigente_8b7c6c56-b2c2-11e1-8b75-00f6d7ee22cc.shtml

mercoledì 18 aprile 2012

trasparenza

Di fronte alla tardiva indignazione degli smemorati italiani per il vergognoso fiume di denaro succhiato dai partiti per i quali hanno sempre votato, i signori ABC - Alfano, Bersani e Casini - propongono in gran fretta il controllo dei loro bilanci.
In altre parole controllare, magari a spese dello Stato (cioè nostre), che i ladruncoli non rubino ai ladroni.

lunedì 9 aprile 2012

il colore dei cretini

Scriveva Sciascia nel 1979:
    "Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l'evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l'Epifania" - (Leonardo Sciascia, Nero su Nero - Einaudi 1979)

Carlo M. Cipolla ha scritto il suo "Allegro ma non troppo - Le leggi fondamentali della stupidità umana" nel 1988, perciò Sciascia non poteva averlo letto, ma da buon illuminista che continuò a studiare per tutta la vita sono certo che arrivò anche lui a capire che i cretini non hanno colore. Dopo la celebrazione della loro Epifania quelli della sinistra crebbero tanto, durante il Carnevale degli anni '70, da emarginare come vecchiume ogni barlume d'intelligenza.
Oggi possiamo dire che la sinistra, pur avendo ancora da qualche parte un po' di cervello (e molto stomaco), ha il cuore e il fegato che tifano decisamente per esemplari come la signora Francioni.
La signora Francioni, coniuge casalinga di povero bancario privato del "diritto civile della pensione a 61 anni", non conoscendo l'ABC del diritto civile non conosce neanche la differenza tra "libertà di" (che non costa denaro, diritto inalienabile) e "libertà da" (che si conquista lavorando e si paga a prezzi di mercato, perciò variabili), è tanto indignata e che fa? Non avendo mai sentito parlare di Miguel de Unamuno, ma avendo passato tanto tempo a intossicarsi nei blog, si stampa una maglietta con "Fornero al cimitero" (un inno alla morte, tipico dei fascisti) e la porta in piazza, fiera come un pavone, per difendere il suo coniuge condannato ai lavori forzati.
Solo quando si scopre sbattuta su tutti i blog e i Tg si dà della cretina (ma non della violenta) e chiede scusa a Elsa Fornero che ha il garbo di non risponderle, ma soprattutto si dispera per l'indecorosa figura fatta fare al suo caro Diliberto, che dopo aver debitamente ammirato le sue tette aveva dichiarato di non aver letto cosa c'era scritto sopra. A cretina cretino e mezzo.
Gente come questa mi comunicò molti anni fa che io, con una vita da militante nonviolento dei diritti civili, non facevo più parte della sinistra. Ma ancora oggi, con la mia pensione da contadino inferiore a 500€, a questi borghesi ottusi e piagnoni dico che io mi sento ricco e orgoglioso di essere di sinistra.....ma non di questa sinistra, come diceva Gaber. E che provo pena per loro.

Ma torniamo a Sciascia. Visto che questa gente non si è neanche resa conto di aver vissuto in Epifania per mezzo secolo, con i politici-Re Magi che regalavano posti di lavoro gonfiati accumulando debito pubblico a carico delle generazioni future (che oggi dovrebbero prendersela coi loro genitori incoscienti piuttosto che con il medico chiamato al capezzale di questo moribondo paese), non ci resta neanche da sperare in un Venerdì Santo. Il cretino, di qualsiasi colore, risorgerebbe a Pasqua!

sabato 7 aprile 2012

youth, ed oltre

    Quando ero giovane ero abbagliato dal Sol dell'Avvenire.

"Youth" - come sentenziava il poeta:
"We have tomorrow, bright before us like a flame.
Yesterday, a night-gone thing, a sun-down name.
And dawn-today, broad arch above the road we came."
                                                            (Langston Hughes)
("Gioventù"
"Noi abbiamo il domani, luminoso avanti a noi come una fiamma.
Ieri è una cosa andata con la notte, un nome tramontato.
E l'oggi è un'alba, grande arco sulla strada che percorriamo.")

    E siccome ero un tipo avventuroso e quel posto dov'ero non mi piaceva affatto, anzi mi faceva orrore, andai alla stazione centrale, pagai un biglietto e presi un bel treno scintillante per destinazione Sol dell'Avvenire. Imparai così che i treni quasi sempre si perdono, ne incolpai quei binari scassati, quel groviglio di scambi senza manutenzione, la segnaletica illegibile, quei ferrovieri più preoccupati del loro treno che dei loro passeggeri: non arrivai mai al Sol dell'Avvenire e chiesi di scendere."Se non ti piace questo treno prendine un altro, traditore, e vedrai quanto ti pentirai!", mi urlarono, e mi scaricarono senza neanche fermarsi; ma stavano quasi fermi, come al solito.

    Così mi decisi a studiare la geografia e capii che quella stazione non esiste. Una truffa. Da allora ci sono invecchiato per capire perché quasi tutti continuano a preferire grossi treni ben lucidati e pubblicizzati dai nomi altisonanti ma con vaghe destinazioni metafisiche tipo "Legge e Ordine", "Benessere e Felicità", "Solidarietà e Uguaglianza", "Equità e Sicurezza", che come tutti gli assoluti non esistono sull'atlante del mondo reale. Sui dépliants di quei treni, finanziati soprattutto con le tasse di tutti i cittadini, si spiega che il biglietto costa poco; che c'è un regolamento pieno di limitazioni da rispettare; che non tutti possono salire (c'è una commissione che esamina, respinge o espelle i passeggeri non conformi al regolamento, quasi a sottolineare "qui siamo tutti uguali, dentro la testa!"); c'è anche una lunghissima lista di fermate intermedie continuamente scandite dagli altoparlanti ma dove non si arriva quasi mai, anche se qualcuna esiste veramente.
    E' risaputo che mai nessuno di quei treni è arrivato alla sua lontana destinazione, e spesso neanche alla prima fermata, ma sono affollatissimi di tifosi che vogliono illudersi di pensarla tutti allo stesso modo, e che vanno in delirio come allo stadio quando il loro treno blocca o viene bloccato da un altro treno: credo che il loro vero scopo non sia quello di arrivare all'impossibile destinazione, ma di impedire che ci arrivino gli altri treni, ritenuti - quelli si - pericolosissimi.

    Essendo un cultore della massima latina "errare umanum est, perseverare diabolicum", da allora io mi accontento di prendere, di tanto in tanto, uno scomodo ma agile trenino sconosciuto ai più e disprezzato dagli altri, che reca un cartello con la destinazione scritto a pennarello. Nessuno ti chiede chi sei e cosa fai, ma hai un solo obbligo: pagare un biglietto molto più caro degli altri, anche se come treno è piuttosto scomodo. Ci trovi un'umanità alla Bunuel: pensionati e giovani rampanti, nani, pornostar, geni, cretini, barboni, casalinghe, militari, monache, vu' cumpra', eremiti e carrieristi. C'è pure un capotreno vecchio come Matusalemme che si limita a biascicare frasi incomprensibili subito tradotte in azioni da scodinzolanti interpreti abbrutiti dalla fatica: ogni tanto qualcuno di loro salta al volo sui treni belli per fare finalmente un po' di dolce vita.
    Siccome si tratta di un treno nessuno dei miei conoscenti mi chiede cosa sto a fare con "quelli là", se invece fosse un partito politico mi toccherebbe rispondergli che tutti abbiamo in comune la prossima fermata, poi ognuno continuerà la strada che si è prefisso: ma la cosa gli sembrerebbe meno ovvia.
Anche se nessuno te lo impone, puoi anche collaborare con il personale a raggiungere la destinazione, che non è mai troppo lontana: a volte è la prima e unica fermata, a volte prevede un paio di fermate intermedie, tutte ben presenti nell'atlante geografico e nel biglietto che hai pagato. Non ci crederete, ma quasi sempre mi ha portato dove volevo, e mi ha cambiato la vita. Il mio trenino è talmente agile che riesce quasi sempre a schivare i grossi treni che ingombrano i binari e che cercano di sbarrargli il passo. Qualche volta è capitato di trovarci con tutti gli altri treni a bloccarci, e perfino di non poter raggiungere la destinazione; alcuni passeggeri sono scesi, altri saliti, e per continuare abbiamo dovuto pagare un altro biglietto: senza energia la motrice non cammina. Ma è sempre più malridotto e non so quanto resisterà.

   All'inizio non capivo perché il mio trenino avesse così pochi passeggeri, anche se alle stazioni la gente si lamentava di quei grossi carrozzoni lucidi che continuavano a non portarla da nessuna parte, ma poi ho capito: agli uomini piace più sognare un grande sogno, sentirsi in tanti e illudersi di pensarla tutti allo stesso modo, piuttosto che vivere da diversi e raggiungere un sogno reale. E infatti il sogno se lo scelgono tanto grande da essere irraggiungibile.
   E, per uscire dalla metafora, vedi link:  http://rottamatoio.blogspot.it/2012/02/politica-4-il-partito-aperto-e-i-suoi.html

ismi: idee e ideologie


     "Un’idea morta produce più fanatismo di un’idea viva; anzi soltanto quella morta ne produce. Poiché gli stupidi, come i corvi, sentono solo le cose morte. E sono tanti, e talmente brulicano sulle cose morte da dare a volte l’impressione della vita. (Questo pensiero mi viene come corollario a tutti i pensieri sulla stupidità e sugli stupidi che vado ritrovando nel “Diario” di Brancati)" - Leonardo Sciascia - NERO SU NERO pag. 68 - Einaudi 1979

Questa riflessione di Sciascia mi ha ispirato una teoria: nell'evoluzione del genere umano mi sembra di scorgere un decorso obbligato per qualsiasi teoria, scoperta o movimento di cui si nutre quello che chiamiamo progresso. Mi proverò a descriverlo:
1) - Un tale, che un giorno sarà definito genio, ha una grande, nuova e valida idea o invenzione (chiamiamola "la cosa") e cerca di comunicarla al mondo, ma quasi nessuno lo sta a sentire, tranne un pugno d'intenditori che in solitudine cominciano ad applicare la novità tra l'indifferenza generale.
2) - Dopo molti anni il successo de "la cosa" si impone per forza propria e attira l'attenzione del folto partito dei furbi, scienziati, intellettuali o imprenditori che siano, i quali spintonano da  parte i vecchi pionieri e, al grido di "largo ai giovani e capaci", s'impadroniscono di quell'idea viva, la privano di quel tanto di scandaloso che ogni vera novità contiene e finalmente la dichiarano perfetta, eterna e indiscutibile, elevandone il fondatore (il "tale") al rango di genio infallibile; riducono cioè "la cosa" ad un "ismo", un'ideologia, con tanto di dogmi, certezze, chierici e guardiani. Così ridotta, ormai in coma, viene lanciata sul mercato con ampia disponibilità di mezzi.
3) - A questo punto masse sterminate di stupidi scoprono quella novità moribonda. Naturalmente se ne innamorano come di una moda e vi si avventano famelici e fanatici creando l'effetto brulicante descritto da Sciascia che fa sembrare vivi, oltre all'idea morta, anche loro. I furbi si gonfiano di troppi soldi per sapere che farne e i più ne scoppiano. I sani sono altrove.

Tra gli infiniti esempi che la storia mi offre potrei citare il povero Gesù di Nazareth elevato a Cristo per fondare il cristianesimo, la morale ridotta a moralismo, la ragione a razionalismo, la nazione a nazionalismo, la scienza a scientismo, la democrazia a democraticismo. L'evoluzione in "ismi" di ogni grande intuizione è la prova che l'umanità è sempre propensa a preferire la riposante certezza delle ideologie alla faticosa ricerca della verità.

furbi et orbi


Una volta trovai in un blog il seguente aforisma attribuito al giornalista Antonio Socci:
                             "Il razionalismo sta alla ragione
                               come la polmonite sta al polmone"
Per la prima volta io, agnostico, mi trovai d'accordo con Socci, cattolico integralista. Tuttavia saltava agli occhi, per chi orbo non è, la furbizia insita nella peculiarità dell'aforisma: per cui proposi di generalizzare il concetto come segue:
                             "Ogni ismo sta alla sua radice
                               come l'appendicite sta all'appendice"
(sia pur con qualche eccezione: qualche movimento artistico o culturale fu coniugato in ismo fin dalla nascita) che mi permetteva di sottoporre a Socci una riflessione sul suo cristianesimo (esimo è sinonimo di ismo), come a dire "ci sei o ci fai?".
Se poi dagli ismi passiamo alle organizzazioni che li incarnano mi viene in mente la sigla che appare sulle targhe delle limousine cardinalizie (SCV= Stato della Città del Vaticano) e la traduzione che ne danno i romani: "Se Cristo Vedesse..." per cui mi viene spontaneo:
                              "Cristo sta alla chiesa cattolica
                                come il colon sta alla colica"
in cui, lo giuro, l'uso di termini ingiustamente considerati poco nobili è necessitato solo dalla rima.